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Quel ritiro dell’Urss dall’Afghanistan che anticipò di poco il crollo dell’impero

by Stelio Fergola
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Urss Afghanistan

Roma, 15 feb – L’Urss si ritira dall’Afghanistan, ma il clima generale nel blocco dell’Est è quello della dismissione. È il 15 febbraio 1989, la peretrojka vive la sua fase più critica, con i regimi del Patto di Varsavia divisi tra chi vorrebbe perfino più liberalizzazioni (come l’Ungheria del dimissionario Janos Kadar e dell’ultimo leader comunista magiaro Károly Grósz) e chi, al contrario, insiste contro la politica debole di Michail Gorbaciov (su tutti, il leader della Ddr Erich Honecker). Quella stessa invasione militare non aveva portato a risultati ma anzi, a un pantano da cui l’Armata Rossa non sarebbe mai uscita.

Il “Vietnam sovietico”

In molti lo hanno definito il “Vietnam sovietico”. E in effetti, guardando al corso di un’occupazione durata quasi dieci anni (dal dicembre del 1979 al febbraio del 1989) non è arduo ritenere il parallelismo decisamente azzeccato. L’Urss su quell’Afghanistan aveva puntato decisamente tutto. Erano gli ultimi anni di segreteria di Leonid Breznev, seppur in una situazione fisica e mentale ormai decadente. Il Paese afghano era stato teatro della nota “Rivoluzione di aprile” del 1978, quando con un colpo di Stato il Partito popolare democratico dell’Afghanistan, di ispirazione marxista e sovvenzionato economicamente da Mosca, prese il potere. Un potere che però non era facile da mantenere, vista l’opposizione delle aree rurali. I comunisti afghani avevano sì il consenso delle zone urbane ma non delle campagne, le più colpite dalle riforme di nazionalizzazione estrema e di esproprio, in un Paese prevalentemente formato da contadini. Ne venne fuori una guerra civile che in breve mise in pericolo il nuovo governo, il quale dopo un anno e mezzo di vita già rischiava di crollare. Mosca, che della diffusioene del socialismo marxista soprattutto nei Paesi terzi si era fatta grande portavoce nel secondo dopoguerra, non sarebbe rimasta a guardare. E la decisione di intervenire fu relativamente rapida: i contingenti militari sovietici arrivarono in soccorso del Pdpa già nella prima metà di dicembre del 1979, poi il 24 dello stesso mese l’attacco ufficiale, denominato Operazione Štorm 333. Ma la guerra si rivelerà un disastro. I guerriglieri armati afghani contrari al regime, i Mujaheddin, saranno una vera spina nel fianco (peraltro, opportunamente finanziati e aiutati militarmente dagli Stati Uniti). Un caos di guerriglia che per l’Armata Rossa sarà, di fatto, insolubile.

L’annuncio del ritiro dell’Urss dall’Afghanistan

L’Urss di Gorbaciov era allo stremo delle forze, schiacciata dalle stesse riforme prodotte dal suo leader e dall’impossibilità di uscire dalla crisi enorme già a lui precedente. In più, c’era stata la costante trattativa in corso con gli Usa di Ronald Reagan per la riduzione degli armamenti strategici e il ben noto “bluff” dello scudo stellare (come si sarebbe scoperto successivamente), un disarmo su cui Mosca contava molto per “rifiatare” da una condizione in cui la competizione non riusciva più a tenere il passo e, ovviamente, costava. Le riforme di Gorbaciov, oltretutto, essendo dispiegate con relativa rapidità (soprattutto quella delle imprese del 1987, ma anche le privatizzazioni dei kolchoz) avrebbero privato lo Stato di troppo potere economico e in troppo breve tempo, rendendolo ben presto facile preda del debito estero. Per farla brevissima e semplicissima, l’Urss degli inizi degli anni Ottanta era un Paese incapace di sostenersi e di progredire, oltre che incapace di comprendere come andare avanti, ma quella della fine del decennio avrebbe accusato anche un ulteriore problema di liquidità. Questo perché il sistema sovietico, pur insostenibile nel lungo periodo da un punto di vista pratico, garantiva allo Stato piena autonomia finanziaria. Dovendo iniziare a produrre un “profilo fiscale” (in sintesi, ad incamerare tasse da aziende private) ed essendo le nuove realtà privatizzate incapaci di assolvere alla nuova tendenza (inflazione e disoccupazione tra le cause principali), il Cremlino si trovò in pochi anni con ben poco “denaro liquido” e si ritrovò costretto a chiedere ingenti prestiti ai Paesi occidentali (i quali, peraltro, risposero in maniera scettica negli ultimi anni a venire). Mancavano risorse, e per l’Urss la guerra in Afghanistan stava costando molto. Troppo. Senza raggiungere alcun risultato pratico. Così, il ritiro ufficiale delle truppe deciso nel febbraio dell’anno decisivo per le sorti del comunismo mondiale, fu la naturale conseguenza. Alla quale ne sarebbero seguite altre, perfino peggiori, alcuni mesi dopo.

Stelio Fergola

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