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Riflessioni fuori scala sul fenomeno della Soap Opera: il caso di “Un posto al sole”

by Roberto Johnny Bresso
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un posto al sole

Roma, 21 apr –  Oggi tratterò un argomento un po’ diverso dal solito, ma che permette interessanti considerazioni sociali e sociologiche: oggi parlerò del fenomeno della soap opera italiana più longeva, a torto a volte banalizzata o guardata con snobismo da una certa intellighenzia supponente, vale a dire Un posto al sole.

Un posto al sole e le Soap Opera

A differenza della proposta televisiva offerta da telefilm o serie (che hanno una cadenza spesso settimanale e comunque destinata ad una conclusione) lo scopo di una soap opera è quello di essere potenzialmente senza fine, cercando di portare sul piccolo schermo dinamiche quotidiane nelle quali, al di là della geografia, della razza e del ceto sociale, tutti ci si possano in qualche modo riconoscere. Le soap statunitensi alla Beautiful appaiono senza dubbio più lontane dal nostro sentire europeo (pur avendo comunque ottenuto successo notevole), quindi è senza dubbio dall’Inghilterra che la serialità italiana trae origine e linfa vitale.

La storia del “prodotto soap”

Il 9 dicembre 1960 Granada Television manda in onda la prima puntata di Coronation Streeet, soap che narra le storie della comunità della cittadina fittizia di Weatherfield, ispirata a Salford, città appartenente alla Greater Manchester. Partita in sordina (un critico del The Mirror predisse che sarebbe durata tre settimane), è ora giunta alla sua sessantaquattresima stagione ed alla puntata numero 11.240, entrando nel Guinness dei Primati come soap opera più longeva al mondo. Tra l’altro il video della canzone I Want to Break Free dei Queen è proprio una parodia della serie.

Nel 1985 è il turno di BBC One, che ci porta nell’Est di Londra nel fantomatico Borough of Walford con EastEnders. La vita degli abitanti del quartiere si svolge intorno al pub Queen Vic e da quel 19 febbraio 1985 sono state prodotte 39 stagioni e 6.934 puntate. Uno dei protagonisti è l’attore Danny Dyer, conosciuto per The Football Factory e per essere un grande tifoso del West Ham United.

Il successo di entrambe le soap, oltre all’ottima scrittura degli intrecci, è dovuto al fato di rappresentare in maniera coerente e veritiera sia la working class che la middle class britannica. L’Italia invece non aveva mai tentato questo tipo di approccio, nemmeno nell’epoca d’oro degli sceneggiati, che però facevano riferimento ad un testo o ad un prodotto preesistente. Visto però il successo delle soap importate dall’estero, al giornalista Giovanni Minoli (celebre per il suo programma di approfondimento Mixer), venne l’idea di crearne una tutta italiana. La Rai quindi decise di acquistare i diritti del format originale Neighbours (soap australiana nata nel 1985 su idea di Wayne Doyle e che ha lanciato al grande pubblico l’attrice e cantante Kylie Minogue) e di trasporlo a Napoli con il nome di Un posto al sole (Upas per i suoi numerosi fan). La trama si incentra sulla vita degli abitanti di Palazzo Palladini, situato sulla collina di Posillipo, e sui loro intrecci amorosi, amicali e lavorativi. Non poteva mancare ovviamente nemmeno il punto di ritrovo della comunità, in questo caso il Caffè Vulcano. Partita in sordina il 21 ottobre 1996 alle 18.30 su Rai 3, inizialmente non riscosse particolare interesse, tanto che se ne ventilò la chiusura dopo pochi anni, prima dell’intuizione che ne cambiò le sorti: dal 31 maggio 1999 venne spostata alle 20.30 (ora va in onda invece alle 20.45) e lo spostamento in fascia pre serale fece sì che potesse esserne attratto un nuovo pubblico molto più eterogeneo e la soap arrivò a toccare anche punte di oltre tre milioni di telespettatori, con il 15% di share televisivo. Ed ora siamo arrivati alla stagione numero 26 ed alla puntata 6.430 di un progetto che dà lavoro a 200 persone per 350 giorni l’anno. Ma quale è il segreto di un programma che va in onda regolarmente dal lunedì al venerdì, persino il giorno di Natale? Probabilmente bisogna tornare a quanto detto ad inizio articolo: la quotidianità degli avvenimenti (se, per esempio, nella vita reale è il 15 aprile, lo è anche in Upas), storie di persone comuni e di dinamiche nelle quali è facile riconoscersi, argomenti d’attualità, storie d’amore, ma anche intrighi e vendette… insomma, un prodotto efficace al quale poche volte la tv pubblica ci aveva abituato, anche perché, oltre alla scrittura, sono molto curate anche la parte attoriale e di regia, che non danno quel senso di pochezza di mezzi a cui troppo spesso la Rai ci ha abituato.

Gli appassionati della soap partenopea

E così ecco che Un posto al sole ha creato uno zoccolo duro di appassionati fedeli e longevi che ben difficilmente lo abbandoneranno mai del tutto, perché in fondo Upas è solo un’altra sorta di dipendenza. Io stesso mi ci sono avvicinato quasi per caso praticamente da subito e da ormai quasi trent’anni fa parte della mia vita, oltre tutto avendo poi contagiato tutta la mia famiglia. Sì, perché il bello (o il perverso, fate voi…) di Upas è che magari ogni tanto ti ci puoi distanziare per qualche periodo, ma poi ci ritorni sempre e ci ricaschi… Non c’è nulla da fare, a tutti piace avere qualche sicurezza nella propria esistenza. E negli anni ho avuto modo di conoscere tantissime persone insospettabili con le quali, tra un commento calcistico ed una birra al pub, è saltata fuori questa comune ed improbabile passione, manco fossimo dei moderni carbonari. E, quindi, come recita la celebre sigla: Un posto al sole ancora ci sarà!

Roberto Johnny Bresso

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