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“Riprendiamoci l’Europa”: bilanci e spunti dal convegno Modenese

by Sergio Filacchioni
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Europa

Roma, 27 giugno – Si è svolto sabato 24 giugno scorso il convegno organizzato dal Centro Studi Kulturaeuropa dal titolo “Avalon – Riprendiamoci l’Europa” con l’obiettivo di dare vita ad un serio dibattito ed ipotesi innovative riguardanti il futuro italiano e continentale. Un progetto che non ha paura di definirsi rivoluzionario.

Riprendiamoci l’Europa

Riprendiamoci l’Europa, quindi: già dal titolo del convegno possiamo dedurre l’obiettivo degli organizzatori che non esitano a definirsi come avanguardia culturale. Riprendiamoci l’Europa, nonostante Bruxelles, Maastricht e Ventotene; Riprendiamoci l’Europa nonostante Russia, America e Cina; Riprendiamoci l’Europa nonostante tutto e tutti: riprendiamola nel lavoro, riprendiamola nell’economia, riprendiamola nella scuola, riprendiamola nell’energia e – soprattutto – nella politica. Questi il leitmotiv della giornata modenese che si è svolta ad Areté – Spazio Identitario con la partecipazione di più realtà militanti e figure di primo piano del dibattito intellettuale radicale e non-conforme, unite per dare una prospettiva “non-conforme, non indifferente e in pugna con i tempi” – per usare l’espressione di Berto Ricci. Già, perchè quello che sembra accomunare tutto un mondo è proprio la rinuncia, la delega e di fronte alle grandi sfide del terzo millennio due reazioni altrettanto mortali: rassegnazione e conservazione. Così, su ogni grande tema posto al centro dalla storia e dalla politica, la rinuncia e l’astensione è diventata la reazione più gettonata, facendo un favore a chi – al contrario – al centro delle sue agende ha posto un progetto di trasformazione politica, culturale, economica e perfino antropologica. Per questo motivo, all’apertura dei lavori del convegno Giancarlo Ferrara – tra i coordinatori del Centro Studi – ha voluto sottolineare l’importanza e la necessità di una vera e propria “Rivoluzione culturale europea“, che rimetta al centro quel “contro-progetto radicale” che era ed è ancora oggi lo spirito fascista – che per ammissione dello stesso Max Horkheimer è l’unico a voler rovesciare il sistema di valori esistente e cambiare il mondo. Sulla stessa tensione l’intervento d’apertura di Carlomanno Adinolfi che ha coordinato i lavori della mattina sotto il titolo “Accelerazionismo e postdemocrazia”, ha sottolineato la necessità di “Cavalcare la Tecnica” per far fronte al venir meno degli organismi rappresentativi tradizionali quali Partiti e Sindacati, spingendo su quello spirito avanguardista – “Prometeico” – che da sempre ha caratterizzato l’uomo europeo. A seguire Marco Scatarzi, di Passaggio al Bosco ha ricordato la figura di Adriano Romualdi e della sua visione europea che ha contribuito in questi ultimi anni a rimettere l’Europa come obiettivo culturale e politico dell’Area non conforme. A chiosa della mattina gli interventi del Prof. Giuseppe Scalici, che ha ricordato l’importanza del Mito per una seria rifondazione dell’identità europea scevra da ogni tentazione utopistica; e quello del Prof. Vittorio de Pedys che ha invece portato l’attenzione su quei “fattori competitivi” che ancora oggi fanno sì che l’Europa sia in netta difficoltà rispetto alle politiche economiche di Cina e Stati Uniti.

La questione sociale

Ogni rivoluzione nazionale – perfino una “sovra-nazionale” come sarebbe quella Europea – che non metta in conto il fattore sociale rischia di essere monca e di spingersi fuori dalla realtà. Sì, perchè una Nazione significa Popolo e anche un futuro “popolo europeo” rischia di trasformarsi in una semplice “riunione di condominio” se la sua costruzione è affidata ai centri finanziari – apolidi e multinazionali – che oggi siedono sulle poltrone delle istituzioni europee. La “Questione sociale” è quindi centrale – se non indispensabile – nell’ottica di un’Europa che costruisca un divenire storico alternativo e creativo rispetto a quello che le classi dirigenti europee (va detto) stanno avverando: la scomparsa delle Nazioni ma – soprattutto – la colonizzazione da parte di altre potenze, perfino quelle del mondo arabo come hanno dimostrato i fatti del Qatargate. Sembra chiaro quindi che ogni rivoluzione che voglia essere europea debba prendere in mano l’eredità socialista, interventista, sindacalista e nazionale di quelle che furono le insurrezioni fasciste del secolo scorso, impugnandole anche e soprattutto contro la politica prezzolata dei vari parlamenti e parlamentini. Anche qui, l’importanza di non abdicare le proprie responsabilità ad enti esterni dalla nostra volontà si rende un fattore decisivo, come sottolinea all’apertura della conferenza pomeridiana il Prof. Gian Piero Joime – coordinata dal sindacalista Ettore Rivabella – ricordando lo spirito pionieristico con cui l’Italia ha saputo modernizzarsi nel novecento, riuscendo a coniugare innovazione e tradizione, tecnica ed ambiente, automazione ed umanità. Uno spirito che senza troppi giri di parole deve tornare per far fronte ai processi di transizione energetica, quelli legati all’AI o all’innovazione tecnologica in generale, per non “rimanere indietro legati a concezioni bucoliche ed antindustriali”. Sottolineato anche da Marco Massarini – analista finanziario – la necessità di impugnare lo strumento economico e finanziario senza paura, perchè così come “il bisturi può salvare vite o distruggerle”, così il capitale può risultare uno strumento espansivo o distruttivo a seconda – ovviamente – di chi lo impugna.

Mito e partecipazione

Ci si è poi spostati sul tema della “partecipazione” come nuovo mito politico per i lavoratori dell’era digitale e del capitalismo finanziario – ben descritto da Rivabella e Gianluca Passera – come un potere che sganciato dalle dinamiche reali e territoriali è diventato un leviatano acefalo ed impersonale. Diventa quindi essenziale ripensare la posizione del lavoratore in un contesto comunitario invece che impersonale, attivo invece che oggettivizzato, protagonista dell’impresa invece che voce di bilancio. Su questo tema, l’importanza della cosi detta “terza via italiana”, portata avanti anche dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale seppur limitatamente, si rende uno strumento già a disposizione per ricostruire un mondo del lavoro che sappia sfidare con coraggio l’epoca delle grandi transizioni senza dimenticare giustizia sociale ed umanesimo del lavoro. A conclusione, la parentesi della partecipazione è stata declinata sulla scuola nell’intervento di Sergio Filacchioni – Responsabile nazionale del Blocco Studentesco – che ha delineato la necessità e la sfida di ripensare le istituzioni scolastiche da “istituzioni precarizzanti votate alla creazione di consumatori” a strutture pubbliche in grado di chiamare all’azione gli studenti, abbandonando il modello repressivo-nozionistico in favore di una concezione di educazione di più ampio respiro, che come l’antica παιδεία (paidéia) sappia mettere in gioco anche il corpo ma soprattutto i valori etici e spirituali che oggi hanno disertato le scuole. Sottolineata anche l’importanza di un ritorno “interventista” sulla Scuola, sia politico sia di spesa, che allontani i mostri del razionamento e della decrescita e non permetta che l’istruzione diventi un lusso a causa della cultura del debito e delle speculazioni economiche. Un’ultima parentesi sul bisogno di una politica studentesca attiva, agitata e volontaristica che sappia trasfondere quei valori rivoluzionari che senza i giovani rimarrebbero vuoti e sterili ma che soprattutto sappiano opporsi alle “malattie del benessere”: noia e depressione.

Dove rivederla

I video della conferenza della mattina e del pomeriggio sono disponibili a questo link. Il convegno si è quindi chiuso con la certezza di aver inciso una nuova tacca sul processo di costruzione di un pensiero radicale lontano da qualsiasi suggestione conservatrice, che sappia trovarsi pronto di fronte alle implacabili sfide che stanno colpendo la nostra Patria italiana ed europea. Vale la pena, in chiusura, ricordare le parole che risuonarono il 16 dicembre 1944 al Teatro lirico di Milano, quando ormai Italia ed Europa non erano altro che un mucchio di macerie: “Noi non ci sentiamo italiani in quanto europei, ma ci sentiamo europei in quanto italiani“. Tanto basta, per votarci con tutte le forze a questa missione risorgimentale.

La Redazione

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