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La Rivoluzione di Enrico Ruggeri. Occhio ai testi (ma pure orecchio): un disco schierato

by Adolfo Spezzaferro
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ruggeri rivoluzione

Roma, 18 mar – “Siamo quello che siamo/Niente di più niente di meno“. Lo chiarisce subito Enrico Ruggeri nella traccia che dà il titolo al nuovo disco in uscita oggi: La rivoluzione. “Siamo l’ultima carezza“, aggiunge prima di un evocativo synth che rimanda agli anni d’oro della new-wave italiana, di cui il 64enne artista milanese è stato protagonista indiscusso. “Siamo sempre schierati/Siamo tifosi e soldati/Arrivati e partiti“. E’ il bilancio in musica sulla sua generazione. “Siamo la rivoluzione da sempre sognata“, “Vincitori di un grande girone/E poi sconfitti in finale/Perché quella sera avevamo da fare“. Così canta l’artista che più in questi anni di pandemia si è scagliato contro le restrizioni e i questurini. Schierato. Con il microfono in mano.

Esce oggi La rivoluzione, il nuovo disco di Enrico Ruggeri

Aperto da un intro programmatica con voce recitante – “Abbiamo mangiato la polvere guardando le stelle“, “Siamo stati in guerra e ci è piaciuto” – il disco musicalmente non è tutto sullo stesso livello. Ma ci sono pezzi che colpiscono per forza e coerenza e per un suono – tutto suonato senza programmazione – fresco e granitico nonostante l’impronta volutamente vintage. L’intro di basso de La fine del mondo è una goduria vecchia scuola, per capirci. Così come gli assoli di chitarra in Non sparate sul cantante. Ma la forza dell’album sta sicuramente nei testi.

Non sparate sul cantante e l’omaggio a Sergio Leone

Proprio Non sparate sul cantante è una delle tracce migliori del disco, musicalmente parlando. Con tanto di intro pulp-mex e trombe mariachi. Il pezzo sfocia in un western rock molto teatrale pieno di rimandi a Sergio Leone. Una canzone di autodifesa, come spiega Ruggeri nelle interviste che accompagnano l’uscita del disco. Un duello mortale tra chi canta liberamente e chi vuole sparargli in faccia per la libertà ostentata.

Il duetto con Bianconi dei Baustelle

Gustoso e radiofonico – sarà di certo un singolo – Che ne sarà di noi in duetto con Francesco Bianconi dei Baustelle. Un pezzo più Baustelle che Ruggeri e ci sta molto bene, a spezzare. Con questi continui richiami a De André (inevitabili considerato il timbro di Bianconi). In coda un sax che fa molto Roxy Music, un tributo celebrativo alla musica di riferimento dell’Enricone nazionale (che non fu solo punk prima di noi).

Occhio al testo di Gladiatore

Capitolo a sé, la canzone Gladiatore. Il suo testo sarà sicuramente oggetto di discussioni e polemiche, visto che non è esattamente un inno pacifista. “E continuo la mia guerra/la mia schiena qui non tocca terra/mi farò spezzare e non mi piegherò“, canta Ruggeri. Per poi sparare un “E la mia mano strappa il cuore/sarò panico e terrore“. Le testate musicali mainstream parlano di dannunzianesimo pop. Certo è che qui il cantautore milanese non va tanto per il sottile.

D’altronde, come ama ripetere (non a caso la copertina è una foto della sua classe del Berchet di Milano, anno 1974-1975), fin dai tempi del liceo certe cose proprio non gli sono mai andate giù. “A scuola in filosofia si saltava Nietzsche. In italiano si faceva il Verga perché parlava di proletari, ma si saltavano i futuristi e d’Annunzio. L’ho percepito come un sopruso. Questa cosa mi è rimasta”.

Il duetto con Capeccia dei Decibel è un inno generazionale

E arriviamo a Glam Bang, seconda collaborazione del disco, con il sodale dei Decibel Silvio Capeccia. Già dal titolo è il pezzo più vecchia maniera di Ruggeri. Capeccia d’altronde è un marchio di fabbrica per i suoni delle tastiere fin dagli Champagne Molotov, la primissima band con Ruggeri. Il testo è dedicato a questa rivoluzione da ultra 60enni che rimpiangono di non averla fatta all’epoca. E che ancora oggi però si sentono a loro modo ribelli, controcorrente. Ruggeri poi, come va ricordando nelle varie interviste di promozione del disco, ha pagato in prima persona le sue posizioni contro le restrizioni anti Covid.

E questo disco è un po’ la replica all’ostracismo subito (anche dai colleghi). “Sono il diavolo e l’acqua santa/sono il dubbio che avanza/la scienza e l’ignoranza/la vergogna e la decenza/e tu sei come me“, recita il testo. “C’è una parte di noi che non scrivo e che non dico“, sembra quasi confessare rispetto a chi non gli perdona di non essere schierato con il mainstream buonista. “Glam Bang/My Rebel Generation“, canta nel ritornello. Un ribellismo – sia chiaro – solo a parole, anzi in versi. Ma ci piace.

La mia libertà: epitaffio sonoro

A chiudere il disco, La mia libertà: epitaffio sonoro (sebbene auguriamo ancora lunga vita musicale a Ruggeri, ci mancherebbe). “Non ho più voglia di sottopormi alle censure preventive“, avverte. Il pezzo ha dei passaggi con la voce effettata che ricorda i Bluvertigo del Morgan ancora non afono. Poi il ritornello-chiosa: “La mia libertà sarà restare solo/La felicità sarà spiccare il volo“. Fine. E buonanotte ai suonatori.

Adolfo Spezzaferro

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2 comments

fabio crociato 18 Marzo 2022 - 4:47

La rivoluzione non potevamo farla, il PCI era schierato in maniera ultrapreponderante (come un plotone di esecuzione) e buona parte della DC pensava solo al c..o suo. Ecco il vero motivo per il quale bisogna avere rispetto e pietà per tutte (!) le vittime oneste di quegli anni.

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Fabrizio Fancello 18 Marzo 2022 - 10:55

Bravo! Sono pochi quelli Come noi. Come si dice dalle mie parti: “quando mangio lo faccio con la mia bocca, quando lavoro lo faccio con le mie mani, quando trombo lo faccio con il mio pisello”. E A MAGGIOR RAGIONE…. QUANDO PENSO LO FACCIO CON IL MIO CERVELLO. Potrei anche sbagliare, é una possibilità, ma dobbiamo avere la libertà anche di sbagliare….

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