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Rivoluzione francese senza orpelli: “La morte di Danton”

by La Redazione
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Roma, 25 ott – La morte di Danton, di Georg Büchner. Ambientazione: Parigi, durante il Terrore, primavera del 1794. Danton, a capo degli Indulgenti, cerca di porre un freno alla deriva sanguinaria del Comitato di salute pubblica. Sa che Saint-Just vuole la sua testa, ma si ostina nel ripetere “non oseranno”. Parole sconcertanti, perché a pronunciarle è una delle personalità più impetuose della rivoluzione, un trascinatore di folle, il responsabile dei massacri di settembre. Danton ha sempre osato. Perché pensa che altri non dovrebbero farlo? (e infatti, in perfetta simmetria rovesciata, sarà Saint-Just ad esortare i membri del Comitato di salute pubblica ad osare contro Danton, dimostrando che proprio Danton non ha loro “insegnato invano questa parola d’ordine”).

È un momento decisivo della vicenda rivoluzionaria, colto con lucidità da Elias Canetti: il ‘non oseranno’ diventa “una specie di motto della rivoluzione con il segno cambiato”. Vale a dire, la rivoluzione non si limita a fare autocritica, ma piuttosto finisce per rinnegare se stessa. Se la rivoluzione significa osare, il non osare messo in bocca a uno dei suoi grandi protagonisti implica una negazione radicale della stessa ragion d’essere di ogni dinamica rivoluzionaria. Le parole di Danton mostrano la crisi di fiducia che attraversa la rivoluzione, il venir meno della sua apparente marcia trionfale, il tracollo di ogni sua lettura entusiasticamente ‘progressista’.

E non è un caso che sia un letterato a metterci sull’avviso, senza appiattirsi né sui toni della denuncia reazionaria e cospirazionista, né su quelli dell’apologia. Ma c’è di più. Danton, nel dramma di Büchner, è tormentato da una parola che ode ovunque: “Settembre!”. Ora s’appella alla clemenza, ma a suo tempo (appunto nel settembre del 1792) è stato lui il colpevole dei massacri nelle carceri parigine. La contraddizione è bruciante, irrisolvibile. In una parola, tragica. Fa deflagrare ogni interpretazione rassicurante e consolatoria della rivoluzione (buona nei fini, ahimé non altrettanto nei mezzi…). È per questo che ritroviamo l’opera di Büchner nel Saggio sul tragico di Peter Szondi. Ed è per questo che La morte di Danton insegna più cose sulla rivoluzione che interi scaffali di opere storiografiche. Valga lo stesso per la cosiddetta ‘rivoluzione d’ottobre’. Il libro, potentissimo, è La scheggia di Vladimir Zazubrin. Un ‘che fare’ senza punto interrogativo. Ovvero, la rivoluzione così com’è, senza orpelli etici o ideologici, nella sua nuda, brutale realtà.

Giovanni Damiano

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Tony 26 Ottobre 2017 - 4:25

….purtroppo, le rivoluzioni, non si fanno con i fiori…Chi vuol farle con baci e abbracci, o prende, o si prende per i fondelli….

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