Roma, 24 lug – Sta facendo molto discutere la proposta del Comune di Roma di razionare l’acqua nella capitale a causa dell’ondata di siccità che ha colpito buona parte della Penisola. Il confronto tra la Roma odierna che rimane a secco e quella antica, che invece divenne famosa per i suoi acquedotti, può sembrare forse di maniera, ma risulta comunque inevitabile. L’Urbe antica conobbe 11 acquedotti principali, ma un catalogo del IV secolo arrivava a contarne 19. Sesto Giulio Frontino, nel suo De aquis urbis Romae, spiegava che “nei 441 anni che seguirono la fondazione di Roma, i romani s’accontentarono di usare le acque tratte dal Tevere, dai pozzi e dalle sorgenti”. Ma, a partire dal 312 a.C., l’incremento demografico portò alla necessità di un maggiore approvvigionamento. Gli acquedotti raccoglievano l’acqua da diverse sorgenti naturali (la più distante, quella dell’Anio Novus, era situata a 87 km da Roma). L’acqua si muoveva in direzione della città grazie alla mera forza di gravità. Va da sé che, per ottenere un simile risultato, ogni singola parte del lungo tracciato doveva essere leggermente più bassa di quello precedente, in modo da ottenere una pendenza media calcolata attorno al 2%.
L’enorme afflusso d’acqua che ben presto si ottenne grazie a questo sistema permise di alimentare non solo l’acqua della case provate dei cittadini più facoltosi, ma anche le fontane pubbliche (circa 1.300), le fontane monumentali (15), le piscine (circa 900) e le terme pubbliche (11), nonché i bacini utilizzati per gli spettacoli come le naumachie (2) e i laghi artificiali (3). Una novità assoluta nel mondo allora conosciuto, e anche in quello che per molti secoli si affermerà dopo la caduta di Roma. I greci avevano nei confronti dell’elemento acquatico una sorta di meraviglia, ma anche di diffidenza. Ma “quell’elemento che ai greci era sembrato tanto misterioso e sfuggente, i romani tentarono di controllarlo e sottoporlo a regole. Perfezionarono l’ombrello e arrivarono a misurare il tempo per mezzo di orologi ad acqua, horologia ex aqua, che a poco a poco diventarono uno status symbol molto ricercato”, spiega Charles Sprawson. A Roma, il nuoto divenne popolare a partire dal racconto dell’impresa di Orazio Coclite, che aveva difeso da solo la città dagli etruschi su un ponte che i suoi commilitoni stavano distruggendo e poi aveva guadagnato la riva nuotando. I soldati romani, dopo l’addestramento al Campo Marzio, erano soliti tuffarsi nel Tevere. L’esercito romano aveva un reggimento di nuotatori germanici e una compagnia di subacquei. Ciò non dovrebbe stupire, in una città costruita in riva a un fiume.
Il Tevere inizialmente sembra si chiamasse Rumon o Albula. Se quest’ultimo nome avrebbe a che fare con la “bianchezza” delle acque, Rumon, da cui poi deriverebbe il nome della città stessa, proviene invece dal latino arcaico ruma, mammella, in riferimento al “nutrimento divino” fornito a Romolo e Remo, che grazie al Tevere furono tratti in salvo. Secondo Andrea Carandini, tuttavia, “la versione della vulgata legata all’acqua appartiene a un tempo successivo […]. La versione originale della saga romulea sembra essere pertanto quella legata al fuoco”. Acqua, fuoco: polarità spirituali opposte, ma alla fine ricomprese nella sinteticità del mito. Sarà comunque per questa leggenda non originaria che, come nota Georges Dumézil, “fu abbastanza esigua la parte attribuita dai romani agli aspetti divini dell’acqua”. Figlia del fuoco, Roma ebbe molta confidenza con l’uso profano dell’acqua, meno con quello religioso.
Spicca comunque la celebrazione dei Fontinalia, che cadevano il 13 ottobre. Patrocinate dal Dio Fons, protettore delle fonti e delle sorgenti naturali, nelle quali venivano gettate delle corone di fiori. Nel mito, Fons era il dio delle fonti, figlio di Giano e della ninfa Giuturna nonché fratello di Tiberino, una antica divinità italica. Aveva un altare consacrato ai piedi del Gianicolo, non lontano dalla presunta tomba di Numa Pompilio. Esisteva, poi, il dio Nettuno, ma non sappiamo se nella religione romana arcaica avesse davvero a che fare con il mare. Aveva comunque un tempio molto antico che sorgeva nei pressi del Tevere e non deve essere stato un caso se alla fine lo si sia fatto coincidere con Poseidone. Il 23 luglio cadevano i Neptunalia, di cui però sappiamo pochissimo. Sappiamo, in compenso, che negli stessi giorni di luglio del 2017, a Roma le fonti rimasero asciutte.
Adriano Scianca
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