Parigi, 5 giu – “Ka mate, ka mate, ka ora, ka ora”. E’ la morte, è la vita. L’incipit della Haka, la danza tradizionale dei neozelandesi eseguita prima di ogni incontro di rugby della nazionale, esprime in due versi la mistica guerriera ereditata dai Maori. La conquista dell’eternità ottenuta attraverso dedizione e sacrificio in terra, la morte come inizio e non fine.
Jerry Collins, terza linea degli All Blacks per ben 48 volte, ha incarnato questa tradizione tramandata dai suoi avi, e questa mattina all’alba ha intrapreso il suo nuovo viaggio. Collins e la sua famiglia sono rimasti vittime di un terribile incidente sull’autostrada francese A9, nel tratto tra Montpellier a Beziers. Un pullman proveniente dal Portogallo ha investito l’auto, uccidendo sul colpo il rugbista e la moglie e ferendo gravemente la loro piccola di appena tre mesi.
Collins, di origine samoana, è cresciuto nel Wellington dove ha trascorso otto stagioni nel campionato delle Provincie. Il salto nel professionismo arriva con la franchigia degli Hurricanes, nel Super Rugby, massimo torneo fra club dell’emisfero Sud. Nel 2008 l’approdo in Europa, con i francesi del Tolone, poi due stagioni in Galles con gli Ospreys, l’esperienza giapponese col Yamaha Jubilo e, infine, il ritorno in Francia al Narbone.
I riconoscimenti maggiori, a livello internazionale, sono giunti ovviamente con la maglia degli All Blacks. Collins abbinava a un fisico possente, dinamicità e tecnica: caratteristiche che ne hanno fatto una terza linea di valore assoluto. Dirompente con il pallone in mano, placcatore eccezionale, solido nel gioco quanto estroverso nel look, grazie al suo ciuffo ossigenato, il numero 8 neozelandese è stato un incubo per i suoi avversari tra il 2001 e il 2007. In Nuova Zelanda si dice che qualsiasi sacrificio è giustificato per vestirsi di gloria con la maglia degli All Blacks. Indossarla e onorarla sul campo significa entrare nella leggenda: Jerry Collins lo ha fatto, conquistando anche il ruolo di capitano, e questo lo renderà eterno per il suo popolo. E’ la morte, è la vita.
Francesco Pezzuto