Così un pastore contribuisce a salvare i gemelli che poi crescono prendendosi cura del gregge del padre. A rinsaldare questo legame, nel giorno della fondazione di Roma, si festeggiava la dea Pales, protettrice delle greggi. Con questi presupposti, vogliamo spingerci al di là di tutte le sovrastrutture mentali o culturali, che hanno trasformato la figura del pastore in un essere primitivo, bruto e alienato. Al giorno d’oggi, sono soprattutto stranieri coloro che svolgono questo antico mestiere, mentre alla nostra gioventù viene riservato il “paradiso dei videogiochi e dei lavori da scrivania”. Nonostante ciò, chi ha avuto mai la fortuna di incontrare qualche vecchio pastore in montagna, ricorderà sicuramente i suoni, incomprensibili e primordiali, ma efficaci, con i quali i pastori si relazionano con il proprio gregge: “Vipperaaa!” , oppure “ leee fassaaaa”. Il pastore infatti vive completamente immerso nella natura per lungo tempo, ne conosce ogni suono o rumore, sa comprendere dal vento e dalle nuvole il tempo che sarà, dai profumi presenti nell’aria avverte l’avvicinarsi di altri animali. Il pastore vive sempre in tensione, come dice il proverbio popolare, dorme con un occhio aperto: sa bene che l’assopimento potrebbe portarlo a non accorgersi dei pericoli imminenti. Il pastore è saggio, ha sempre con sé un bastone, che non gli serve per appoggiarcisi sopra stancamente, come nella rappresentazione di thanatos, ma è utile per dirigere il gregge (ripreso poi dal bastone pastorale dei vescovi) o anche come arma, per respingere attacchi improvvisi. Il pastore è attento a preservare l’ambiente che lo circonda, perché sa che grazie alla natura incontaminata il suo gregge può sopravvivere.
Il pastore disponeva di una importante sensibilità: nelle preghiere a Pale egli chiedeva perdono se avesse violato o tagliato alberi sacri, se le sue pecore avessero brucato sulle tombe, se si fosse rifugiato in templi per sfuggire al maltempo, se il gregge avesse intorbidato acque di sorgente, se con la sua presenza avesse obbligato esseri come ninfe e satiri a fuggire. Il pastore, infine, sa bene quanto è duro riportare a casa il gregge intero e quanta fatica costi godere dei meravigliosi prodotti dell’allevamento, dal latte alla lana per finire con la carne. Quindi, ancora ai giorni nostri, i pastori riescono a dare una dura lezione ai politicanti da strapazzo, riscoprendo la solidarietà che contraddistingue le nostre genti e che vorrebbe essere sostituita dalle etichette imposteci nel dopoguerra. Ma soprattutto ci indicano la necessità di recuperare le qualità che contraddistinguevano i pastori, necessarie per una autentica rifondazione della nostra Patria.
Marzio Boni
3 comments
Complimenti: emozionante!
Un gesto tangibile di grande solidarietà che mi ha commosso. Complimenti.
Ciò che mi piacerebbe è che in un futuro non lontano, smettessimo di mangiare la carne degli animali, ma ci alimentassimo dei loro prodotti come il latte, il formaggio, il burro, le uova ecc. Le proteine che assumiamo dalla carne si possono sostituire con quelli che ho esposto prima (latte ecc.) e con i legumi, frutta secca e tanto altro, tenendo conto che ne consumiamo anche molto più del necessario. Una mattina ho visto un camion pieno di agnellini che belavano disperati…li portavano via dalle madri per mandarli al macello. Da quel giorno amo troppo le pecorelle per veder fare loro quella fine orrenda…essere sgozzate…è così che le ammazzano per la nostra tavola. So che la natura non è tanto sensibile quando si tratta della vita degli animali, ma noi della carne possiamo farne a meno, è questo il punto; se fosse necessario per vivere capirei…ma non lo è. Lasciamo che lottino fra loro per la sopravvivenza, noi sopravviveremo lo stesso…e molto bene direi. Il nostro vero male sono i nostri simili, e coi tempi che corriamo, questo dato di fatto è più scontato.