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Sarri: le credenziali del calcio che non smette di sbalordire

by Lorenzo Cafarchio
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SarriNapoli, 11 gen – Vedi Napoli e poi? Chiedetelo al neo 58enne Maurizio Sarri, uomo partito da Bagnoli e tornato al Maschio Angioino – Castel Nuovo, nuovo come la sua concezione del giuoco del calcio – per scrivere una storia fatta di sudore e pallone. Emergere dall’anonimato della provincia. Arrivare fino al luogo simbolo dell’italianità, per diventare coscienza del calcio popolare alla Eduardo de Filippo. C’è tutta la geografia d’Italia nel suo viaggio. C’è Verona. C’è Pescara. C’è Alessandria. C’è Monte San Savino, laddove inizia il Sarri che conosciamo. Tutta nera, finché dura, e Sansovino (provincia di Arezzo) guidato dall’Eccellenza alla C2.

All’epoca aveva già deciso. Il lavoro in banca un ricordo. “Sono fortunato: mi pagano per fare una cosa che avrei fatto la sera, magari dopo il lavoro e gratis”. Schietto. Onesto. Arriva al punto senza giri di parole. Chiedere a Roberto Mancini. I suoi schemi ruotano attorno alla verticalità. Gli spagnoli, che spesso e volentieri ci azzeccano parlando di Napoli, certi uomini li chiamano  hombre vertical. Lo sono Hector Cuper, Gigi Riva ed El Loco Marcelo Bielsa. Parliamo della sua dedizione verso lo studio ed i libri. Ossessionato dai dati. Spulciatore di schemi. Verticale per le credenze. Tutto d’un pezzo sul rettangolo verde. Che si vinca o che si perda.

Parlando di filosofia applicata al giuoco è concreto: “Non è riproducibile se ci sono solo stranieri, nel momento in cui saranno 20 italiani su 25 in rosa si ritroverebbero alcuni degli ideali persi nel calcio moderno”. Bisognerebbe spiegarlo ai feticisti del -nziho come suffisso al cognome dei calciatori. Qualcuno ha parlato di “pane e salame”, ma non siamo in osteria. Siamo in Coppa Campioni, davanti alla luce del Benfica e ai fasti di Eusebio. Davanti alla Dinamo Kiev ed alla sacralità del Colonnello Valeri Lobanovski. Davanti alle Aquile nere del Besiktas. Con il giro di boa che parla di una Roma da superare e degli ottavi di finale verso il trofeo dalle grandi orecchie.

Il regalo più bello sarà il Real Madrid. Per vincere o morire. Nel palleggio sincopato dei giocolieri in azzurro, in quel asfissiante manovra senza palla, in quei movimenti automatizzati dall’eterno ripetersi. Il fumo della sigaretta sale lento, davanti ad un 4-3-3 che incanta l’Europa. Perché è la fermezza che fa l’uomo, non l’uomo la fermezza. In un pallone sgonfio dopo la dipartita di Gonzalo Higuain, ma capace di tornare all’esaltazione nel falso nueve, alla Sandro Mazzola, in versione Dries Mertens.

Il guascone Leonardo Pavoletti ed il rientro di Arkadiusz Milik ci diranno il resto. Forze rivelatrici che non danno scampo davanti ad un verdetto inappellabile. Intano la Napoli milionaria “ha da passà ‘a nuttata”, ma il medico céliniano Maurizio Sarri conosce ogni segreto del ventre molle partenopeo, per condurre Piazza del Gesù Nuovo laddove era stata spinta da El Pibe de Oro.

Lorenzo Cafarchio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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