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La ricetta del Sassuolo di Squinzi: “Diminuire gli stranieri”

by Lorenzo Cafarchio
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A sinistra Eusebio Di Francesco tecnico neroverde, a destra Giorgio Squinzi, patron del Sassuolo

A sinistra Eusebio Di Francesco, tecnico neroverde, a destra Giorgio Squinzi, patron del Sassuolo

Sassuolo, 23 gen – Dall’organigramma allo staff tecnico, passando per lo sponsor e la compagine che scende in campo, il Sassuolo è un inno all’italianità. Ci bastano le dita di una mano, in realtà ne servono solo tre, per elencare i calciatori stranieri in maglia neroverde: Sime Vrsaljko, Alfred Duncan e Grégoire Defrel. Una storia che riporta alla mente il Piacenza a cavallo tra gli anni ’90 e ’00 in serie A.

Il patron Giorgio Squinzi – numero uno di Confindustria e presidente della Mapei – è in sella dal 2003 e ha condotto la squadra dalla periferia del calcio, l’allora C2, ad una stagione, quella attuale, che può sfociare con l’ingresso della banda Di Francesco nell’Europa che conta, il tutto sotto il vessillo tricolore. Nella giornata di ieri, Squinzi ha rilasciato alcune dichiarazioni al Quotidiano.net, in vista della sfida che vedrà impregnato il suo Sassuolo contro il Bologna: “Diminuire gli stranieri, dando un’identità più vicina all’immagine del nostro Paese e del calcio che ci rappresenta. Lo stesso c.t. Conte è in difficoltà quando deve fare la Nazionale, ci sono atleti che per giocare vanno all’estero. Quando abbiamo vinto a Milano con l’Inter, nove giocatori dei nostri undici erano italiani: di là tutti stranieri. Se venite a vedere un allenamento del Sassuolo, sentirete solo una lingua: la nostra, che anche gli stranieri imparano. Se tutti capiscono cosa vuole l’allenatore, diventa più facile fare gruppo. Continueremo su questa strada”.

Una pista tracciata in controtendenza a fronte della parole che vorrebbero il nostro massimo campionato ritornare a fiorire sotto l’insegna dei calciatori nati da Bolzano a Palermo. Investire e spendere soldi nei nostri talenti porta progettualità a chilometro zero che funzionano – basti vedere nel basket dove l’unica squadra di A con un progetto funzionale è Reggio Emilia che spende danaro ed energie in tal senso – facendo espandere, ancor di più, una macchina da soldi qual è il calcio. Il frutto esotico, figlio della rivoluzione del pallone degli anni ’80, è palliativo per il palato dei tifosi alla ricerca del colpo sensazionale, ma si trasforma in agente chimico che cannibalizza la nostra identità sul rettangolo verde.

Lorenzo Cafarchio

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1 commento

Anonimo 24 Gennaio 2016 - 12:38

Se vogliamo una Nazionale Italiana come quella che vinse di fila due mondiali 1934 e 1938 (ormai 80 anni fa circa ) dobbiamo sfruttare e stimolare il mercato del pochi giovani Italiani rimasti
Bravi

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