Roma, 21 giu – Esami di immaturità in partenza, per la scuola italiana, come ogni anno. Oggi, è il turno delle prime prove scritte. Ma il problema dell’immagine priva di concretezza resta: perché sì, gli esami che pongono fine agli studi scolastici vengono chiamati effettivamente di “maturità”, ma in questa definizione ormai c’è solo convenzione e poca, pochissima sostanza.
Esami di immaturità
Scarsissimi risultati, promozioni spesso regalate, atenei universitari che si lamentano da anni dei ragazzi che escono dal ciclo di studi scolastico e proprio da quegli esami che vengono chiamati, ancora, “di maturità”. Niente a che vedere con la realtà, appunto, appena riassunta nella frase di cui sopra. Di maturo c’è ben poco. Di preparato sempre meno. Salvo, ovviamente, le solite eccezioni. Quelle non mancano mai, perché nell’essere umano c’è sempre la voglia di esprimersi, ed è difficile che non nasca mai nessuno che abbia voglia di farlo. Ma non si può puntare sempre sul tocco del cielo, occorre motivare e spingere anche chi, per ovvie questioni di grandi numeri, non può esserlo.
La scuola di oggi non lo fa per nulla: genera generazioni di viziati, arroganti e deboli. Prepotenti perfino con i professori, in una dinamica che ben ha riassunto Paolo Crepet con le sue ultime dichiarazioni sul raffronto tra giovani e adulti, in cui i secondi sono sempre più privi di autorità e i primi sempre più senza punti di riferimento (ovviamente, non accorgendosi minimamente del danno infinito che stanno subendo, mentre magari sghignazzano). No, di maturo c’è ben poco. Quasi nulla. Concentrato in ragazzi che rappresentano una minoranza e che saranno sempre meno in futuro. Un disastro generazionale e culturale da cui, però, non si può uscire solo contando sulla scuola. Perché la scuola non è al centro della questione come lo era fino ad – almeno- mezzo secolo fa.
Altro che uomini e donne, i ragazzi a 18 anni sono ancora dei bambini
Il problema è complesso e non investe esclusivamente le istituzioni scolastiche, che restano decadenti e sempre più inutili nella formazione degli spiriti delle nuove generazioni, oggi invase da una montagna di contenuti frivoli che le formano molto più dei banchi di scuola, soprattutto in termini etici e filosofici (si pensi solo all’influenza del mondo cinematografico, soprattutto nel campo delle serie televisive). La verità è che viviamo in una società di eterni bambini e ragazzi, che a vent’anni sono tutt’altro che uomini o donne e che spesso fanno fatica ad esserlo anche intorno ai trenta. Uno sviluppo della maturità ben più lento di quello delle società di mezzo secolo fa, almeno se si parla dell’Occidente. Questo per una miriade di ragioni: un mercato del lavoro sempre più debole e ritardato, che rende i giovani più “lenti” nell’assumersi le proprie responsabilità, la crisi economica, l’ossessione dell’università per tutti, una vita quotidiana che ha abituato tutti noi (chiunque sia nato dagli anni Settanta del secolo scorso in avanti) ad agi sicuramente pregni di aspetti positivi ma anche forieri dell’incapacità di soffrire e di sacrificarsi. In estrema sintesi, generazioni di deboli che si susseguono da decenni. E se si è deboli, la maturità – non solo scolastica – giunge molto più tardi. Ammesso che arrivi e con tutte le conseguenze drammatiche del caso.
Stelio Fergola