Roma, 30 gen – Abbastanza sottaciuti ma presenti, anche gli agricoltori italiani protestano contro l’Ue, e bruciano bandiere blu a Torino, come riporta anche La Stampa. Una protesta ormai generalizzata che è partita dalla Germania, proseguita in Francia e in Belgio e che, da qualche giorno, sta coinvolgendo anche Italia e Paesi Mediterranei. Con un solo urlo disperato: dire basta a un sistema di regole oppressive e distruttive di lavoro, diritti, e prosperità.
Agricoltori italiani ed europei contro l’Ue
Gli agricoltori italiani sono contro l’Ue tanto quanto quelli tedeschi, francesi, belgi. Frasi dirette, per qualcuno ancora eretiche (dieci anni fa sarebbero stati messi alla gogna senza discussioni). Tra queste, una in particolare riecheggia: “L’Ue ha fallito, vogliamo uscire”. Perché venti o trent’anni di fallimenti e di sviluppi inesistenti della crescita, del lavoro e dell’economia cominciano a pesare. Addirittura nel Paese che più ha guadagnato dalla cosiddetta “Unione” (ovvero la Germania) figuriamoci se può accadere in quello che più vi ha perso, come è il caso dell’Italia. Il coro pressoché unanime dei produttori della terra in queste settimane ha parlato a gran voce in modo unidirezionale e contro Bruxelles. Andando dritti al punto e parlando in termini semplici, tutto ruota sempre intorno alle piaghe che caratterizzano Bruxelles da quando è nato come sistema sovranazionale: tasse, tagli e sussidi. Niente più bonus fiscali in Germania, niente più sussidi tanto in terra teutonica quanto in Italia o in Francia. Lo scopo è sempre lo stesso, ideologico e ormai insopportabile perfino per chi ci ha marciato di più in questi decenni: i conti in ordine, i bilanci “a posto”. A patto di non rinunciare mai ai sostegni militari all’Ucraina che – quelli, per carità – non si toccano.
L’emblema di un’epoca
Quanto sta accadendo è l’emblema di un’epoca fatta di proteste, di disperazione e di immiserimento sociale. Non certo da adesso, ma da tempo ormai immemore. I bonus tagliati e il fisco oppressivo “ultima versione” sono preceduti da anni di imposizioni perfino sulle produzioni, sulle regole di importazione dei prodotti (un fatto che abbiamo sperimentato con peculiare dramma proprio noi italiani). Negli anni recenti, abbiamo constatato con particolare energia il risentimento in Francia, con i precedenti dei cosiddetti gilet gialli, lo abbiamo visto nell’Italia martoriata dalle regole anti-Covid con le manifestazioni di Trieste e di tutte le città che ad essa seguirono. Lo abbiamo visto alle elezioni europee che nell’ultima tornata del 2019 ha clamorosamente premiato i partiti allora euroscettici (e ora “europolemici”, se così possiamo definirli facendogli quasi un favore, citando gli esempi di Lega ed “Ex Front National”). Lo vediamo con tutte le elezioni nazionali che premiano comunque partiti e coalizioni percepite come euroscettiche (indipendentemente dalle promesse tradite o meno). Lo abbiamo visto prima ancora, con il caso più clamoroso della Brexit. Lo stiamo vedendo adesso, in questi giorni, con l’Italia che, da Nord a Sud, attacca le imposizioni di Bruxelles. Gli agricoltori contro l’Ue sono l’emblema di un’epoca, quella europeista, parca di delusioni e povera di svolte: economiche come spiriturali, identitarie, politiche. Un disastro con cui non si capisce bene come continuare a convivere e – consentiteci un volo utopico – anche da cui uscire.
Stelio Fergola