Roma, 27 mag – Se dicessi che il nostro compito epocale è quello di combattere il maligno perché ci troviamo immersi in una operazione diabolica contro l’uomo e la natura, credo che dopo poco avrei sulla porta di casa o un paio di infermieri per un ricovero coatto o un emissario di padre Amorth per un mirato esorcismo.
Eppure, se ci spostiamo dalla concretezza linguistica ed entriamo in una dimensione simbolica, quello che sembra un discorso deviato assume un significato e delle connotazioni molto più comprensibili e condivisibili. Il simbolo è quell’elemento linguistico la cui origine etimologica è “mettere insieme”, “aggregare”, “unire”.
Come dispositivo elementare esprime in sé un contenuto della coscienza che diventa universale. Da ciò deriva il concetto di simbolico, di qualcosa che promuove la convergenza degli opposti o, quanto meno, di altri elementi di per sé diversi.
Se il simbolico è ciò che unisce, l’etimologia di diabolico è “ciò che divide”, che “separa”, che “mette in contrasto”, che “predispone al conflitto”. A questo punto, carichiamo di valenza simbolica il concetto di legame, e scopriamo come l’epoca in cui viviamo è il tempo della liquidazione, dell’indifferenziazione, della demitizzazione e della scomunica di qualsivoglia rito, sacro o profano che sia.
Per i credenti il legame tra il popolo e Dio era dato dal sacerdote che creava un ponte dal basso verso l’alto. Con la riforma della logistica della chiesa, il prete volge le spalle a Dio e lo trascina verso il piano dei fedeli oltre l’altare. Per i genitori, la madre era la funzione del mondo amniotico, materiale, di vita accudita, mentre il padre era il simbolo della Legge, della prescrizione e dell’attrito che porta all’autonomia. Il legame tra i due portava il figlio a diventare uomo. Ora, i genitori A e B rappresentano degli enti con funzioni distorte e annacquate, membri di un gruppo contrattuale di concepimento anche incerto e gestione aziendale.
La coppia veniva determinata da un legame sacralizzato – e non in senso esclusivamente confessionale – con la complice condivisione di un destino e di un retaggio. Attualmente essa si costituisce attraverso un progetto modificabile in corso d’opera con la possibilità di rescissione del contratto in caso di non soddisfazione reciproca degli utili.
Sul lavoro esisteva un sistema gerarchico che, nel bene e nel male, veniva a costituire una squadra o – in termini di esterofilia linguistica – un’equipe che si consolidava nel tempo dal punto di vista professionale e amicale, un legame in un processo condiviso. Le riforme hanno orizzontalizzato ogni ruolo, hanno conflittualizzato ogni rapporto ed hanno reso flessibile e precaria ogni relazione.
Il medico di famiglia era il fiduciario dei segreti sanitari e affettivi, con una conoscenza transgenerazionale dei singoli membri, in una attività tra il confidente e il confessore che andava dalla vita alla morte. Adesso è stato derubricato a contratto tra prestatore d’opera e usufruitore di servizi.
Esempi se ne potrebbero trovare a bizzeffe, con una linea comune di disintegrazione: la scomunica di tutto ciò che è simbolo di trascendenza e l’esaltazione di tutto ciò che è diabolico materialismo egoistico.
L’apoteosi di questa deriva è l’annullamento delle differenze di genere. A prescindere dall’assurdità di trovare distingui sessuali oltre ai due previsti dalla natura, la cosa che sfugge ai derelitti dell’antiglobalismo di facciata è che questa operazione è la tattica più insidiosa e devastante del capitalismo cosmopolita.
Il becerume progressista non ha capito – zucche vuote ed eterodirette – che lo sradicamento delle stesse leggi di natura è all’interno di un preciso progetto mercantile. Come il nomadismo è la rappresentazione del mercante senza radici, se non fugaci domicili nei luoghi di interesse, così l’indifferenziazione è la pratica dell’egoismo fluttuante e della sottomissione cosmopolita.
Se non ho una precisa identità di chi sono, sono tutto, quindi niente. Mentre James Hillman rivendicava la “ciascunità” di ogni psiche, il discorso del capitalista punta a quella che Alain de Benoist definisce “medesimità” di ogni anima. È la palude, che tutto fa rassomigliare e tutto ingloba. È il tempo di Sauron, che tutto inquina. Della notte di Hegel, in cui tutte le vacche sono nere.
Da ciò la necessità di essere rivoluzione: padroni di sé e del proprio destino, decisori e non oggetti di decisione. Liberi, sapendo che – come avvertiva il grande Jünger – la libertà è un rischio, e chi spera di averla gratis dimostra di non meritarla.
Adriano Segatori
1 commento
D’altra parte gerarchia e differenza (conosci te stesso) non eliminano il conflitto, ma lo inseriscono in un contesto comunitario. La pialla egualitaria e universalista punta alla fine di ogni contrasto e conflitto, il paradiso in terra degli uguali.