Ovviamente le critiche riguardano anche gli specifici settori d’interesse e di spesa anche se, nei fatti, ogni categoria, associazione e sindacato critica le misure che ledono i propri (legittimi o meno poco importa) interessi senza “spulciare” nei dettagli il testo. E noi che siamo meticolosi lo abbiamo fatto ed abbiamo scoperto che, all’articolo 22 comma 4, vengono stanziati 1.340.000 euro annui (per tre anni) per foraggiare istituti culturali tra i quali il Museo storico della Liberazione di Roma che godrà di un finanziamento annuo di 100mila euro. Il Ministro dei Beni culturali Franceschini ha parlato nelle scorse settimane di misure storiche e rivoluzionarie per la storia italiana, di boccata d’ossigeno per un settore perno della nostra economica che potrà finalmente tornare ad essere fiore all’occhiello del Paese.
Premesso che se si comparasse la spesa italiana per il settore di cultura con quella di altri paesi europei come la Francia ci accorgeremmo che siamo ben al disotto degli “standard dell’UE”, il punto è chiedersi se davvero questi finanziamenti sono necessari. Per essere chiari: a chi interessa il Museo della liberazione se non ad una determinata schiera di soggetti provenienti da fazioni politiche ben definite? Ma le leggi, ed i conseguenti finanziamenti del caso, non dovrebbero essere fatte seguendo il principio dell’interesse generale? Quante visite annue fa il Museo della liberazione (sul sito non c’è scritto)? Davvero non vi sono nel comparto cultura settori o istituti più importanti tali da essere foraggiati e che darebbero maggior lustro nazionale ed internazionale all’Italia?
Scopriamo così che, per esempio, il triennio dell’attuale legge finanziaria ricopre il triennio del centenario dell’entrata nella prima guerra mondiale. Ma qui niente soldi, niente feste nazionali, niente finanziamenti per celebrazioni, iniziative ed istituti di sorta. Non è prevista nemmeno una voce di spesa aggiuntiva per le celebrazioni del 4 novembre, giornata in cui si celebra la vittoria dell’Italia nella prima guerra mondiale. Ma forse è giusto così: per una classe politica dirigente che preferisce foraggiare il ricordo di un periodo di guerra civile, di invasione e di bombardamenti anglo-americani nonché di divisione della nazione, non c’è “portafoglio” per l’unità e la Vittoria.
AURELIO PAGANI