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Speciale Gruppo di Ur / 2: i Pitagorici, alle radici della sapienza italica

by La Redazione
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Roma, 3 set – “Noi sappiamo che la sapienza è una cosa ben diversa dalla cultura

(nonché dalle teorie, dalle credenze e dai languori devoto – isterico – sentimentali);

e che la possibilità di pervenire alla sapienza è inerente nell’uomo

(Pietro Negri – Arturo Reghini, Sulla Tradizione Occidentale – 5 – La Sapienza iniziatica romana – vol. II di “Introduzione alla Magia”, Edizioni Mediterranee, Roma 1987, p. 75)

Come predetto, nella prima parte del nostro speciale dedicato al Gruppo di Ur, il sodalizio esoterico conciliava in sé varie espressioni iniziatiche, di diversa anche se affine natura, ed una di queste, sicuramente una delle più importanti, è stata quella che fu rappresentata dai Pitagorici Arturo Reghini e Giulio Parise, quale espressione di una corrente sapienziale italica che negli anni precedenti aveva animato riviste di altissimo spessore come Atanor ed Ignis. Ribadiamo come Ur non sia stata una semplice propaggine di tali pubblicazioni, integrandosi alla componente pitagorica altre espressioni di scuola, e come erroneo, secondo noi, sia usare l’aggettivo “massonico” in riferimento alla partecipazione di Reghini e Parise ad Ur per due ordini di motivi: la dimensione latomistica dei nostri rappresentava una profonda esigenza di cambiamento, di ritorno alle origini pre – cristiane delle varie obbedienze, denunciando essa stessa la decadenza dell’istituzione, come fecero sia Guènon ed Evola, magari con più giusta decisione; gli argomenti trattati nelle monografie di Ur testimoniano un’adesione ad una visione del mondo prettamente arcaica e misteriosofica, al quanto lontana da un cerimonialismo giudaico – cristiano imperante nella massoneria moderna. Discussa, inoltre, è la partecipazione alla catena magica di altri pitagorici, che secondo alcune ricostruzioni, avrebbero potuto svolgere funzioni di veri catalizzatori dell’intero sodalizio, anche non avendo fornito alcun contributo scritto.

La collaborazione dei Pitagorici in Ur durò per le prime due annate della rivista – che nella terza assunse la denominazione di Krur – per poi naufragare per cause e motivi che ci porterebbero lontani dall’intendimento di questo scritto. Essa si caratterizzò per una grande sintonia di intenti e studi con gli altri collaboratori, nella traduzione e nel commento del mithraico Papiro magico di Parigi, come nell’ausilio prestato da Reghini a Quadrelli nel commento dei Versi d’Oro pitagorici.

Di Giulio Parise, che si firmava con “Luce”, possiamo mettere in evidenza la redazione della sezione “Opus Magicum”, da cui, sempre in piena sintonia con quanto approfondito sia da Leo (Colazza) sia da Abraxa (Quadrelli), si evince una rara sensibilità iniziatica, una profonda capacità – d’altronde giù espressa in alcuni saggi apparsi su Ignis – di addentrarsi con cognizione di causa nelle tematiche più vive e fondamentali dell’Alta Magia. Al di là degli approfondimenti sui nomi di potenza e sulla magia cerimoniale, negli scritti dedicati alla concentrazione, al silenzio, al Fuoco, si denota tutta l’arcaica vena operativa e pitagorica, la palestra d’addestramento animico che poco concede al cerimonialismo fine a se stesso, ma illumina magistralmente il percorso trasfigurante dell’operatore magico, quale percorso essenzialmente introspettivo, con una conoscenza profonda della dottrina ermetico – alchimica, una conoscenza che determina il vero rito, quello che ridesta se stessi:

Chi, scelta la via da seguire, è forte in se stesso e certo che la sua volontà sarà dura contro i moltissimi ostacoli che incontrerà sul cammino, né mai un istante di debolezza sopravverà, si che egli deroghi dalle fissate norme, inizi il rito” (Luce, Introduzione alla Magia, vol. I, op. cit., p. 28).

Di Pietro Negri, la firma utilizzata dal celebre Arturo Reghini, per i suoi scritti in Ur, si possono segnalare due direzioni di studio apparentemente diverse, ma in realtà contigue e correlate. La prima concerne lo stesso piano di investigazione di Parise, inerente la sperimentazione magica, alcuni commenti ad alcuni testi di ermetismo, fino ad arrivare allo splendido saggio dedicato ai Fedeli d’Amore ed al loro linguaggio segreto. In tutto ciò, in Ur 1928, secondo volume di Introduzione alla Magia, si staglia ciò che reputiamo essere la vera perla dei contributi pitagorici, cioè lo speciale sulla Tradizione Occidentale: nove capitoli dedicati alla Paganitas, alla Romanità nella sua comprensione interna, nella sua valenza iniziatica. Al lettore, si presenta una lunga e ammirevole disamina delle origini e dei significati ancestrali della Tradizione Patria, in cui la confutazione di una presunta mancanza di una dimensione metafisica nei Romani si accompagna alla piena e cosciente affermazione che negli stessi vi sia stata una sapienza iniziatica, sotto il simbolismo bifacciale di Giano (riprendendo molto dagli insegnamenti di Guènon) e soprattutto dal simbolismo agricolo e navale di Saturno, i misteri dei quali vennero preservati dai famiglie nobiliari romane, fino alla fine ed anche oltre l’esistenza storica dell’Impero, come nel caso dei Simmachi, e come testimoniato dai testi di Virgilio e Macrobio e da altre autorevoli fonti:

Secondo Ennio e Varrone, dunque, come la terra si apre grazie all’aratro per poter accogliere il seme gettato dal coltivatore e farlo fruttificare, così il corpo si apre per concepire l’anima, e la materia diviene in tal modo la Mater dell’anima; ed il palese e non casuale richiamo ai Misteri (initia) fa capire che il paragone ha valore e va riferito non soltanto al caso della nascita, ma sibbene anche al caso della rinascita (la palin – genesi) iniziatica, la nascita della <<vita nuova>>” (Pietro Negri, Sulla Tradizione Occidentale, op. cit., 87).

Nelle pagine di questi due grandi rappresentati della Tradizione Italica del ‘900 vi è tutta la comprensione di come argomenti differenti, di natura differente, come possono essere le disquisizioni cabalistiche oppure le istruzioni e le esperienze di magia operativa (che spesso sembrano essere desunte dalla scuola pitagorico – nilense di un Kremmerz), rappresentino in realtà la natura più autentica dell’esperienza di Ur e che il simbolo stesso della Scuola Italica esprimeva al meglio, quel San Giorgio di Donatello, raffigurato in una cartolina illustrata del 1918, spedita da Arturo Reghini ad Armentano ristretto nel carcere Militare di Monteleone Calabro. In quell’immagine vi è il senso più alto della Tradizione Occidentale, nelle sue diverse accezioni, pitagorica, romana, ermetica, vi è il senso univoco dell’insegnamento magistrale che il Pitagorismo del ‘900 ha offerto al tradizionalismo italiano, financo ai giorni nostri, un insegnamento che concepisce, in accordo con Parise, Reghini ed il loro maestro Armentano, la romana via agli Dei quale palestra dell’anima, per un suo affinamento, per una sua contemporanea catabasi – anabasi, appunto per una sua rinascita dalle miserie materiale e sottili del mondo moderno, come il seme in Saturno, per ridestare l’eternità di Vesta:

Di tale stato di fatto procede il concetto fondamentale di impurità, che, secondo i rituali classici dei vari sistemi di iniziazione, deve essere risolta nella purezza originaria dell’ardore della fiamma segreta…” (Luce, Introduzione alla Magia, vol. I, op. cit., p. 54 – 5).

Luca Valentini

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