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Spot Esselunga: a quanto pare è vietato sperare in famiglie ricomposte, o pensare ai figli

by Stelio Fergola
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Esselunga spot

Roma, 27 sett – Lo spot Esselunga ha scatenato un polverone. Il motivo? Guardare con nostalgia, dal girato almeno, alle famiglie con i genitori uniti, atrraverso gli occhi della bambina protagonista dello spot. Impossibile per il politicamente corretto progressista e liberal, un’ideologia che ormai non desidera neanche che le cose nei nuclei vadano per il meglio, ma ipotizza solo la squallida società frammentata, atomistica e individualista che esso stesso ha fomentato.

Spot Esselunga, un contenuto malinconico e di speranza

Una bambina è con la sua mamma a fare la spesa. Prende dal banco della frutta una pesca. Sulla strada di ritorno a casa, guarda dal finestino genitori uniti con i propri figli, ed evidentemente desiderebbe la stessa cosa. Perché al ritorno a casa, la mamma la avvisa dell’arrivo del padre – evidentemente non più coniugato – e la bambina le offre la pesca acquistata alla Esselunga invitandolo a parlare di nuovo con la ex moglie. Un filmato dolce, sentimentale, volendo anche speranzoso sulla ricomposizione di un istituto – la famiglia, appunto – completamente distrutto da anni di progressismo libeale senza freni. Probabile che gli autori dello spot abbiano scritto apposta la trama per suscitare le inevitabili reazioni della dittatura ideologica a cui siamo sottoposti, ma non è quello il punto: il fatto che abbiano centrato il bersaglio è l’ennesima dimostrazione di quanta poca libertà vi sia su certi temi, e soprattutto su come non sia lecita anche la più semplice delle inclinazioni per il futuro dell’essere umano: la speranza.

Per i signorotti del pensiero unico non va bene

Non si può guardare con malinconia alle coppie ancora unite, non si può empatizzare con la tristezza di una bambina che vorrebbe vedere i suoi genitori andare d’accordo, non si può neanche pensare ai disagi oggettivi di quella figlia, che non si trova una mamma e un papà distanti per motivi di violenza ma per chissà cosa, per questioni evidentemente differenti. Vanity Fair lo definisce come un’accozzaglia di “luoghi comuni”, su tutti “famiglia unita=famiglia felice”. Non è questione di essere uniti per essere felici, cari soloni. Si tratta di capire che – salvo casi eccezionali e tragici – un figlio con i genitori divisi ne soffre. Possiamo non fregarcene, possiamo ignorarlo (ovviamente non lo ammetteremo mai esplicitamente), ma è un fatto fisiologico nella stragrande maggioranza dei casi. Dunque “augurarsi” famiglie unite (che, ovviamente, funzionino) è un imperativo logico, prima ancora che umano. Ma, a quanto pare, non è lecito. Non si può. L’unica tendenza ammessa è la disperazione.

Stelio Fergola

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