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Tremonti sul conflitto in Palestina: “Colpa della globalizzazione”

by Michele Iozzino
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Tremonti

Roma, 18 ott – Cosa ha portato il conflitto israelo-palestinese a riaccendersi e dare vita alla fase ad alta intensità a cui stiamo assistendo? Per Giulio Tremonti la risposta è una e per nulla scontata, la globalizzazione.

L’opinione di Tremonti sulla crisi atto

In una lunga intervista rilasciata al Sole 24 Ore, l’attuale presidente della Commissione Affari esteri della Camera ha dato la sua versione dei fatti su quanto sta accadendo in Medio Oriente dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre e la conseguente reazione israeliana. Per l’economista, “I processi del mondo arabo e dell’Iran non coincidono con quelli altrove innescati dalla globalizzazione. Mentre l’Oriente li cavalca, il Medio Oriente reagisce, innescando la spirale della violenza e del terrorismo”. E aggiunge: “È la conseguenze di una serie di fatti concatenanti che hanno portato alla distruzione di alcuni Stati”. In altre parole, la tendenza da parte della globalizzazione a distruggere l’identità e la sovranità degli Stati nazionali ha portato, almeno nel mondo arabo, una spinta contraria. Se ancora negli anni ’90 Margaret Thatcher poteva rispondere “Ma George era un gentleman” alla domanda sul perché Bush padre nella prima guerra del golfo non fosse andato fino in fondo eliminando Saddam Hussein, a significare una sorta di freno nell’esercizio della propria potenza perfino negli Stati Uniti e l’osservanza di un calcolo strategico oltre la semplice volontà di abbattere il nemico di turno, al contrario “ora questi schemi sono rotti, soprattutto dal dispiegarsi dalla globalizzazione avviata al principio di questo millennio”.

Una globalizzazione a due velocità

Tremonti precisa una differenza fondamentale per come la globalizzazione si è sviluppata fuori dall’Occidente: “Questa si è diffusa su due diverse onde: in Asia finora senza problema, in Medio Oriente con enormi problemi che derivano dalla struttura stessa della globalizzazione che mette il mercato sopra il ‘pubblico’ in paesi dove il pubblico è tradizione, religione e tanto altro, non necessariamente coincidente con il mercato. Ed è questo che genera la catena degli errori e degli orrori che abbiamo visto in questi anni”. Detta in altri termini, la globalizzazione non agisce in uno spazio vuoto, la sua tendenza omologante e rendere qualsiasi cosa un semplice fattore economico è alla base della crisi che stiamo vivendo. Una forza centrifuga che arriva a distruggere lo Stato o ridimensionarlo fortemente. È il caso dell’Iraq dopo la guerra del 2003, dove si creano “i presupposti per l’onda lunga del terrorismo, fino ad arrivare all’Isis, disordini interni e spaccatture nel paese, ondate di emigrazione”. Ma anche di Libia e Siria sulla scia delle cosiddette primavere arabe del 2011. La questione palestinese viene persa di vita, anzi “si delega alla superiorità militare e tecnologica di Israele la gestione dei rapporti con i palestinesi ma di fatto scompare la prospettiva o la speranza dello Stato di Palestina”. In questo scenario si inseriscono gli Accordi di Abramo voluti da Trump che sembrano normalizzare le relazioni tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, e Marocco. Tuttavia questi ultimi sono “accordi con monarchie assolute, diciamo ‘proprietarie’, che coinvolgono una quota limitata di popolazione, anche se ricca”. Una fuga in avanti che “taglia fuori tutto il mondo arabo e musulmano”, tanto che “l’attacco del 7 ottobre sembra svilupparsi come reazione dall’altra parte”.

Michele Iozzino

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