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Viaggio a Belgrado: a piedi verso il Marakanà

by La Redazione
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belgrado marakanaBelgrado, 8 apr – Atterrati al Nikola Tesla Airport di Belgrado ad inizio marzo, avevamo già ben chiaro un programma per questi cinque giorni alla scoperta della perla dei Balcani. Parte di questo programma era di vedere, il giorno seguente, la partita tra Stella Rossa e Jagodina, pur col dispiacere di non essere riusciti ad arrivare una settimana prima per vedere il Derby Eterno.

Belgrado è una città che ci ha colpito sotto ogni punto di vista, dai palazzoni di Novi Beograd alla passeggiata su Knez Mihailova, fino alla fortezza di Kalemegdan. E’ una città di una bellezza nascosta. Nascosta perchè non la si può cogliere semplicemente e solamente osservandola. Belgrado non è una bella ragazza, non è uno spettacolare monumento, è piuttosto un enorme giardino in fiori dove questi sbocciano solo al momento in cui gli passi accanto e dai loro attenzione particolare. Di Belgrado te ne innamori vivendola, sotto una calda e soleggiata giornata o sotto la pioggia più fitta e il freddo più umido, riscaldati da qualche bicchiere di Rakija bevuto nei tanti accoglienti locali serbi.

Terminata la prima giornata con una cena all’Ambar, uno dei più particolari ristoranti sul Danubio, arriviamo a Sabato. Sveglia presto, nonostante le pochissime ore di sonno. Riprendiamo a visitare la città e partiamo dal bellissimo quartiere dove alloggiavamo, Skandarskija. Più che carichi per andare a vedere la Stella Rossa, iniziamo ad organizzarci, era nostra intenzione arrivare allo stadio almeno un’ora e mezza prima della partita, che si sarebbe giocata alle 18. Dopo un “leggero” pranzo in uno dei ristoranti tipici e qualche ora di riposo per curare i postumi della notte precedente, trascorsa in una delle tradizionali Kafane in compagnia di amici e amiche serbe, giunte le tre decidiamo di incamminarci verso il Marakanà. Non avevamo la più pallida idea di dove fosse. L’unica cosa di cui eravamo certi è che saremmo andati a piedi e avremmo dovuto camminare per un’ora buona. Fortuna che il tempo era dalla nostra parte. Armati di Google e pazienza, iniziamo a seguire la strada consigliata. Nella prima parte del tragitto, ripercorriamo il corso centrale, Kneza Mihailova, successivamente passiamo alla sinistra dell’Hotel Moskva e più avanti oltrepassiamo l’ambasciata russa. E’ Sabato pomeriggio, il sole scalda la città e Belgrado è vivissima. Continuiamo a seguire la via tracciata e dopo mezz’ora circa siamo di fronte al Tempio di San Sava, la chiesa Ortodossa più grande del mondo, che avremmo visitato il giorno seguente nonostante l’incessante pioggia di quella Domenica, che cercò di ostacolarci in ogni maniera.  Tiriamo dritto e scendendo per altri dieci minuti ci rendiamo conto che stiamo per lasciarci alle spalle il centro della città. Il tempio è una sorta di linea di demarcazione, che separa il centro dalla semi-periferia, o almeno, così è sembrato a noi.

Ora inizia la parte più complicata. Fermiamo alcuni ragazzi del posto, gli chiediamo indicazioni. Loro, pur non parlando inglese, fanno di tutto per aiutarci e alla fine riusciamo a capirci. Continuiamo a scendere per la stessa strada, su un piccolo marciapiede che affianca un parco alberato. Ci fermiamo un attimo per fumare una sigaretta, eravamo in largo anticipo ma dovevamo fare mente locale. Ad un tratto notiamo il panorama che si ergeva di fronte. Sullo sfondo alcuni palazzoni sovietici sfidano la bellezza del cielo. Prima di questi, una specie di conca attira la nostra attenzione. E’ decisamente lo Stadion Rajko Mitić della Crvena Zvezda.  Non sembrava distante e pensiamo che in una ventina di minuti saremmo arrivati. Proseguiamo la nostra oramai infinita discesa verso il Marakanà, fino ad arrivare all’incrocio di una tangenziale. Camminare su quest’ultima non sarebbe stata un’iniziativa geniale, quindi doveva per forza esserci un altro modo per passare. Notiamo quasi subito un sottopassaggio. Scendiamo. Entriamo in questa specie di galleria, i murales dei Delije accompagnano ogni nostro passo. Ora il contesto era decisamente diverso da quello di dieci minuti prima, ma ci piaceva ugualmente e l’adrenalina cominciava a farsi sentire. Usciti dal sottopassaggio e non sapendo dove andare esattamente, seguiamo tre ragazzi una decina di metri più avanti a noi, sperando andassero allo stadio anche loro. Una piccola strada sterrata ci porta a delle scale di roccia a chiocciola che terminavano a quella che era una fermata del bus. Noi tiriamo dritto e passiamo per dei giardinetti, attirando l’attenzione di un gruppo di ragazzi vestiti con i simboli della curva.  Occhiali da sole e sguardo altrove. Lasciatoci alle spalle il giardino ritorniamo sulla strada. Nonostante non fosse previsto l’arrivo dei tifosi avversari, appena girato l’angolo ci troviamo di fronte numerose camionette e agenti antisommossa che scrutano il fiume di persone in marcia verso il Marakanà. Eravamo a solo un chilometro dallo stadio.

Oltrepassato il cordone della polizia, siamo oramai in pieno territorio dei famosi “Delije” (in Italiano “Eroi”, nome che riunisce tutti i gruppi della curva). La ben nota “sever” della Crvena Zvezda ha una fama che la precede: nonostante la squadra non vinca trofei importanti dall’exploit degli anni 90 con la coppa dei campioni a Bari, molti ritengono che gli scontri che la hanno coinvolta con i tifosi della Dinamo Zagabria il 13 Maggio 90 siano stati la scintilla che ha scatenato l’inizio delle guerre jugoslave e che in seguito il comandante “Arkan” avesse reclutato le sue “Tigri” proprio tra le fila dei “Delije”. Al giorno d’oggi quella della Stella Rossa è ritenuta una delle curve più predisposte allo scontro fisico al mondo. Camminiamo lungo la strada che ci porterà allo stadio e non possiamo fare a meno di notare il gran numero di ragazzi che intonano cori in vista della partita.  Il Marakanà visto dall’esterno non sembra più grosso di uno stadio da 10mila posti, le strutture non sono affatto alte, né imponenti, poiché il terreno di gioco si trova sotto elevato rispetto alla strada e dunque l’apparenza è , come sottolineato precedentemente, proprio quella di una conca. Senza rendercene conto, ci troviamo sotto la Nord. La cosa paradossale, che in cuor nostro apprezzavamo, è che una qualsiasi batteria di tribunari/tifosotti del Marakanà , sarebbe potuta essere decisamente “bella”. Praticamente chiunque, dal ragazzino al vecchio, indossava materiale della curva decisamente nazionalista ed “esuberante” (non che a noi dispiacesse..) e scorgiamo con piacere anche qualche felpa dell’Italia.

Ad ogni modo, eravamo “leggermente” a disagio. Del resto eravamo estranei in un territorio che era controllato esclusivamente dai ragazzi dei Delije, presumibilmente non maestri in inglese e che quindi nell’eventualità di una discussione avrebbero potuto facilmente fraintendere. Il loro controllo pressoché totale, poi, si poteva anche percepire dalla totale assenza di polizia nei dintorni immediati delle entrate, a differenza di qualche centinaia di metri prima. Evitiamo l’assembramento più numeroso e ci dirigiamo verso la biglietteria, per acquistare i biglietti della tribuna ovest, da cui avremmo potuto ammirare lo spettacolo del tifo, più che della partita. Tuttavia ci accorgiamo che essa è attaccata all’entrata della Nord. Per raggiungere il botteghino bisognava passare una fila dove a controllare il flusso di ragazzi erano gli ultras dallo sguardo non troppo rassicurante. Decidiamo a questo punto di attendere che la fila si faccia meno imponente, affogando il tempo in una birra nel ristorante di fronte.

Entrati nel locale, addobbato con bandiere e gagliardetti della Stella Rossa e della sua curva, notiamo tavoli di ragazzi ben impostati che ci squadrano un attimo all’entrata. Ci sediamo, ordiniamo in inglese, nessuno sembra curarsi di noi. Lì capiamo che le nostre paranoie erano troppo accentuate se non infondate. Quindi, finita la birra, finiti gli indugi. Diamo un’occhiata fuori, la fila è ormai smaltita. Finalmente acquistiamo i biglietti per la tribuna ovest, alla modica cifra di 300 dinari, circa due euro: prezzi popolari per antonomasia, così come dovrebbe essere ovunque. Dopo il (non)controllo dei biglietti siamo immediatamente in cima alla tribuna. Ciò che vediamo non smentisce le nostre attese. Rispetto al resto dello stadio la curva è piena e il tifo è potente. I bandieroni che coprono la curva sono in buona parte con riferimenti politici, Anti-UE, contro la Nato e nazionaliste, rivendicanti il Kosovo, oltre a numerose bandiere russe. Fine primo tempo.

Cerchiamo il negozio dei Delije. Lo troviamo accanto la tribuna Vip e quella in cui entriamo è una vera e propria boutique di materiale della curva. Ce n’era per tutti i gusti. Tutto questo, ripeto, di fianco alla tribuna Vip. In Italia sarebbe impensabile; questo fa capire che la società e la politica abbiano deciso una strada del dialogo nei confronti della tifoseria più calda, senza esasperare i rapporti tramite una spesso ingiustificata repressione. Dopo avere acquistato qualche souvenir, torniamo ai nostri posti e vediamo la Crvena Zvezda passare in vantaggio e vincere alla fine tre a uno. Decidiamo di uscire qualche minuto prima per evitare la ressa e prendiamo un taxi che ci lascia davanti al Tempio di San Sava. Soddisfattissimi dell’esperienza, nonostante i chilometri macinati. Oramai ridiamo delle paranoie che avevano accompagnato parte del nostro pomeriggio e con una certa tranquillità già pregustavamo la notte che ci si parava a base di buon cibo, birre e Rakija.

Più che soddisfatti torniamo in Italia con un paio di certezze e con un paio di opinioni consolidate: la Serbia è una vera e propria Comunità. Il popolo serbo mantiene un grande senso di appartenenza in un’Europa dove tale sentimento è diventato quasi una colpa, senza che ciò comprometta la loro ospitalità, che non è stata minata neppure dalle ingiustizie subite negli ultimi venti anni e in tutto il corso della loro storia. Prendiamo il volo. Passiamo dal Turbofolk alle turbolenze. Lasciamo Belgrado con una sola certezza: quella di tornarci al più presto, magari in prossimità del Derby Eterno.

Edoardo Martino

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