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Esplode la “voucher mania”: ma a rimetterci sono sempre i lavoratori

by Salvatore Recupero
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voucher2[1]Roma, 23 mar – È scoppiata la voucher-mania. Secondo un report realizzato dal ministero del Lavoro e dall’Inps, il numero delle persone che sono state retribuite con almeno un voucher durante l’anno è passato da 24.437 del 2008 a 1.392.906 del 2015. Lo scorso anno un voucher su tre è andato agli under 25. Ma cos’è il voucher? Semplice si tratta del buono-lavoro Inps pagato dal committente per una prestazione di lavoro accessorio (attività non riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario). Il valore netto di un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore, è di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione. Ovviamente, la prestazione di lavoro accessorio non dà diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell’Inps (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari ecc.), ma è riconosciuto ai fini del diritto alla pensione. Altri dettagli su questa forma di lavoro accessorio sono presenti sul sito dell’Inps.

Strano che saltino fuori questi dati. Nonostante Renzi si vanti del successo del governo nella lotta contro la precarietà, viene smentito dai risultati del Ministero guidato da Giuliano Poletti. Nel 2015, infatti, circa un milione e quattrocento mila persone sono state retribuite con un buono da sette euro, con cui non si riesce nemmeno a fare la spesa. Inoltre, solo 6 mila persone su quasi 1,4 milioni che hanno ricevuto come pagamento per una prestazione di lavoro accessorio un buono-lavoro, hanno incassato con questo strumento di pagamento oltre 5 mila euro nell’anno.  Parliamo dello 0.4%. Siamo ben al di là della soglia di povertà. Possiamo immaginare quale possa essere il potere contrattuale di queste persone nei confronti del loro datore di lavoro. Ma non è tutto.  Ci sono altri dati ancora più allarmanti: “Il 64,8% dei prestatori ha riscosso nel 2015 meno di 500 euro di valore complessivo. Il 20% ha superato i 1000 euro. In base ai dati rilevati in collaborazione con l’Inps risulta che il 36,6% dei percettori di voucher nel 2015, aveva riscosso voucher anche l’anno precedente. La media di incasso per i percettori è di 633 euro”. I “voucher workers” sono in particolar modo giovani sotto i 25 anni. Un dato in assoluta controtendenza rispetto all’andamento dell’occupazione italiana. Non mancano anche gli over 60 e gli over 65 che nonostante le loro laute pensioni cercano ancora di guadagnare qualche euro.

Giovani e anziani, uniti dal fatto di esser alquanto distratti. Infatti, il ministero fa notare anche che quasi un quarto dei 114,9 milioni di voucher venduti nel 2015 non è stato riscosso. Nel 2015 sono stati riscossi dai prestatori 88,1 milioni di voucher (il 76% di quelli venduti). La percentuale è in calo rispetto al 2014 quando furono riscossi il 92% dei buoni venduti (63,8 milioni su 69,1 milioni di buoni venduti nell’anno). È evidente come qualcosa non quadra in tutta questa storia. Per esempio, i datori di lavoro dovrebbero essere famiglie o enti senza fini di lucro. Il voucher dovrebbe servire per pagare l’anziano pensionato che ancora guadagna qualche cosa con qualche lavoretto saltuario. Oppure il giovane che per pagarsi gli studi arrotonda con qualche lavoro occasionale. Magari anche la baby sitter che porta al parco il figlio della vicina. Come si vede però, la piega che sta prendendo questo fenomeno è un’altra. Ad esempio, molti percettori di “buoni-lavoro” di solito ricevono i voucher sempre dalla stessa azienda, un rapporto che non sembra certo occasionale.

Ma, dopo questi dati, definiti da Poletti “interessanti”, partirà il giro di vite del governo “contro chi sfrutta questo strumento per mascherare contratti di lavoro stabili”.  Era ora! Una nota del ministero perentoriamente afferma: “ Le aziende dovranno comunicare preventivamente, in modo telematico, il nome e il codice fiscale del lavoratore per il quale saranno utilizzati, insieme con l’indicazione precisa della data e del luogo in cui svolgerà la prestazione lavorativa e della sua durata”. “Fermo restando il valore positivo dei voucher – aggiunge la nota- come strumento per favorire l’emersione del lavoro nero”. Ed ecco che si propone uno schema già visto durante l’era Renzi. Ad esempio, se ricordiamo il caso dell’Imu e della Tasi. Prima è stata introdotta facendo cadere la colpa sui predecessori  e poi la stessa tassa viene eliminata per dimostrare la magnanimità del governo. Torniamo, però, al giro di vite promesso dal governo nel nome della lotta all’evasione. Date le modalità in cui verrà fatto il controllo aumenterà la pervasività del Grande Fratello fiscale. Ci sarà forse un database che conterrà tutte le volte che una famiglia ha pagato la baby sitter?  Questo ancora non è dato saperlo. Di certo, le imprese che vorranno aggirare questo divieto, cambieranno spesso il personale per evitare certi controlli. Non parliamo poi di cooperative ed enti senza fine di lucro che operano al di là del bene e del male. Infine, i giovani poi in mancanza di lavoro stabile rimpiangeranno la cara vecchia mancia, almeno quella non era soggetta a tassazione.

Salvatore Recupero

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1 commento

Gab 24 Marzo 2016 - 1:47

Giustamente, come dice Recupero, il voucher non è da condannare in toto perchè può servire a far guadagnare qualcosa al pensionato, allo studente che in parte si mantiene agli studi da solo, ad arrotondare ai part-time, a certe categorie lavorative particolari, etc… il problema è però che ci sono forti limitazioni per i lavoratori e non per i datori di lavoro.

Esiste un limite massimo (in euro) di voucher che un datore di lavoro può emettere mensilmente o annualmente? Un limite di questo tipo dovrebbe forzare il datore di lavoro ad assumere (almeno a tempo determinato) i lavoratori.

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