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Marcare a uomo: Sergio Brio, lo stopper

by Marco Battistini
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sergio brio, stopper

Roma, 20 ago – Abbiamo celebrato qualche tempo fa su queste pagine – in occasione dell’addio alla Juventus – Giorgio Chiellini, l’ultimo degli stopper. Il termine, parente stretto dell’anglicismo derivante dal verbo to stop, ha come antenato il materiale di scarto proveniente dalla lavorazione di fibre tessili. Vocabolo latino, preso in prestito dal germanico: la stoppa, utilizzata ancora oggi come guarnizione idraulica per garantire la tenuta stagna. E chi, nel calcio dell’uno contro uno, ha sempre assicurato la chiusura ermetica di ogni falla se non proprio l’addetto alla marcatura a uomo? Una figura che nel nostro pallone ha avuto tra i più alti rappresentanti Sergio Brio. Nato a Lecce il 19 agosto 1956, proprio come l’ex capitano azzurro ha legato la carriera alla maglia della Vecchia Signora.

Gli esordi tra Lecce e Pistoia

Figlio del Sud, nel vivaio giallorosso completa tutta la trafila del settore giovanile. Con i salentini iscritti alla terza serie, esordisce in prima squadra – nel contesto della coppa nazionale di categoria – e gioca il primo scampolo di gara nel campionato di C. E’ quindi il presidente Boniperti in persona a volerlo nella sua Juventus, dove sarà aggregato alla Primavera. Fisico prestante e tecnica da affinare, Brio viene mandato a maturare in quel di Pistoia.

Con la maglia olandesina conferma le proprie qualità atletiche – su tutte il colpo di testa. Nel triennio toscano (1975-1978) oltre a giocare con continuità assaggia il dolce sapore della vittoria. La promozione in cadetteria sarà il primo di una lunga serie di affermazioni di squadra: l’esperienza in serie B viene costantemente monitorata dalla casa madre, il roccioso marcatore è pronto per far parte della rosa juventina.

La pazienza, virtù dei forti

Forte nei muscoli, ma anche nella testa. Brio è il rincalzo di Morini – difensore altrettanto spigoloso – e fino a marzo non vede il rettangolo verde. Gli insegnamenti ricevuti nel periodo leccese (Attilio Adamo lo spronava ricordando che “la via del successo si percorre solo con le maniche rimboccate”) insieme alle ore di straordinario richieste dal Trap – palla, muro e forca – fanno sì che questo ragazzo venuto dal meridione si possa presentare pronto al momento della chiamata in causa. Intanto il nostro, con pazienza, lavora e aspetta.

Nel giorno del battesimo bianconero (18 marzo 1979) annulla il miliardario Savoldi, non proprio l’ultimo arrivato. Impeccabile nella propria area, temibile in quella avversaria. In Coppa Italia se ne accorgono sia l’Inter – colpita nei quarti – che il Palermo. Contro gli isolani in particolare, segna una rete pesantissima – il pareggio a pochi minuti dal novantesimo – per la vittoria della finale, arrivata ai supplementari. Subentrato proprio a Morini, gioca non casualmente da centravanti.

Brio, il numero cinque

L’inaspettato eroe si prende definitivamente la maglia numero cinque dei bianconeri. E’ il decennio trapattoniano che si porta con sé quattro scudetti, altre due coccarde e ogni competizione continentale allora esistente. Il mastino italico tiene a bada tutte le tipologie di attaccanti avversari – epici i duelli con Pruzzo – ma, suo malgrado e per colpa di una concorrenza spietata, non riuscirà mai a indossare la maglia della nazionale. Sgomitata anche la sfortuna (un paio di gravi infortuni), vestirà sull’iconica manica corta la fascia da capitano. A fine carriera saranno quasi quattrocento le presenze con la Vecchia Signora, alle quali va aggiunto un prezioso bottino di ventiquattro marcature. Un combattente che, spinto da un’interminabile forza di volontà, andò a prendersi tutto.

«Trapattoni ordinava e io eseguivo. Con la massima concentrazione, un compito e quello restava per tutta la partita» dirà nel 2006, intervistato dal Giornale. Dici stopper e pensi a Brio: nel cammino delle stelle insieme alle altre leggende juventine il suo nome non poteva di certo mancare.

Marco Battistini


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