Roma, 19 giu – Un buon primo tempo contro la Spagna non è bastato all’Italia per centrare quella che sarebbe stata la nostra prima finale di Nations League. Un obiettivo alla portata sfumato con la scialba prestazione della ripresa: alla nazionale è rimasta così la finalina giocata ieri pomeriggio – sempre ad Enschede – contro l’Olanda padrona di casa. Vediamo com’è andata e tracciamo un breve bilancio di questa quattro giorni azzurra.
Olanda-Italia 2-3: a segno Dimarco, Frattesi e Chiesa
Mancini torna al “solito” 4-3-3: Donnarumma tra i pali, Toloi e Dimarco laterali bassi, Acerbi in coppia con l’esordiente Buongiorno a completare la linea difensiva. Frattesi, Cristante, Verratti in mediana, Gnonto e Raspadori sulle fasce, Retegui centravanti. Gli azzurri partono a razzo e al ventesimo sono già forti del doppio vantaggio. Prima un’azione iniziata e successivamente chiusa dallo stesso Dimarco con un potente collo esterno (pregevole il suggerimento di suola da parte di Raspadori). Poi – ancora iniziativa del terzino sinistro – su un batti e ribatti Frattesi si fa trovare smarcato in mezzo all’area. Il calo fisiologico della ripresa (e qualche incertezza difensiva di troppo, a voler essere puntigliosi) permette agli olandesi di rimettersi in partita. Quindi è Chiesa al minuto settantadue a sfondare sulla sinistra: la galoppata dello juventino vale il terzo gol. A un minuto dal termine subiamo l’ininfluente punto del 2-3, a nulla serve il lunghissimo recupero.
I nodi da sciogliere: la retroguardia
Terminato quindi il primo semestre dell’anno, analizziamo quanto ci ha proposto il rettangolo verde in questo doppio confronto contro Spagna e Paesi Bassi. Premessa: non ragioniamo in termini di modulo, che giocoforza dovrà essere subordinato ai giocatori a disposizione e – perché no – all’avversario di turno. Partiamo da un dato di fatto, ormai gli indizi – sia con il Psg che con la nazionale – iniziano ad essere troppi. Donnarumma (l’unico che alla prova dei fatti risulta essere indiscutibile per Mancini) possiede grandi qualità tra i pali ma con la sfera tra i piedi dimostra ancora notevoli limiti. Sul primo gol iberico, ad esempio, la giocata effettuata dal nostro portiere – passaggio al centrale girato di spalle, in mezzo a quattro maglie rosse e privo di scarico – era quantomeno evitabile. Sebbene per l’occasione il grosso della “colpa” sia comunque da imputare alla leggerezza di Bonucci, sappiamo quanto la sempre più utilizzata costruzione dal basso (che non è un dogma, ma evidentemente piace al cittì) richieda l’utilizzo di estremi difensori capaci di iniziare l’azione.
Altro nodo da sciogliere, il pacchetto ultratrentenne dei difensori centrali. Bonucci senza Chiellini ha perso sicurezza, Acerbi vive una seconda giovinezza ma l’orologio biologico segna inesorabile 35 primavere. Toloi si conferma un buon rincalzo, il soldatino Darmian riscoperto braccetto si è allungato la carriera. Potranno tappare un buco oggi, non di certo prendersi la titolarità domani. In ottica futura imprescindibili le presenze di Bastoni e Scalvini: insieme a loro però occorre dare fiducia agli altri giovani in rampa di lancio. Come Buongiorno, bene all’esordio. Sulle fasce – terzini puri o quinti di centrocampo non fa differenza – nessun campione propriamente detto ma, anche attingendo dall’Under 21, la coperta è lunga. Considerevole la crescita di Dimarco, ieri migliore in campo.
Nations League, tra nuovo che avanza (Frattesi) e l’annoso problema dell’attacco
Buone nuove dalla metà campo – non è una novità. L’utilizzo del doppio regista Jorginho-Verratti è sì un lontano ricordo, ma entrambi (magari non in contemporanea) possono tornare utili nel dettare i tempi di gioco. Barella rappresenta presente e futuro. Ottimo Frattesi: con tutto il rispetto per il Sassuolo, ora per fare il salto di qualità serve però l’esperienza in una grande squadra. Questione attacco. Consapevoli di ciò che passa in convento, la sensazione è che questa squadra non possa fare a meno di schierare una prima punta di ruolo. Contro la Spagna Immobile non ha certo brillato, ma uscito dal campo abbiamo perso metri. E forse la partita. Retegui nella finalina volenteroso ma insufficiente, in particolar modo nel secondo tempo: deve crescere, ma conferma di sapersi muovere negli ultimi sedici metri. Chiesa da esterno (ci teniamo a sottolinearlo: in una coppia d’attacco non ha il suo spazio vitale) è la solita garanzia, come il più duttile Raspadori – a lui invece servirebbe, eccome, un maggior minutaggio. Numericamente le opzioni ci sono: rimane da capire quale sia l’incastro migliore…
Marco Battistini