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Niente è abbastanza se non è il massimo: trionfi e sventure dell’Everton

by Roberto Johnny Bresso
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everton, liverpool

Milano, 3 giu – Tempo di finale di stagione calcistica e quindi tempo di verdetti e, insieme a chi combatte per trofei e coppe, c’è chi si gioca la permanenza nella propria categoria di appartenenza. Parlate con qualsiasi tifoso che si rispetti e vi dirà che i suoi incubi sportivi vedono al primo posto il trauma della retrocessione. Domenica scorsa si è concluso il campionato inglese e ad abbandonare la Premier League sono state tre squadre di grande blasone: il Southampton, il Leeds United ed il Leicester City, che solamente nel 2016 si aggiudicava a sorpresa il titolo di campione. Ma una squadra ancora più storica si è salvata per il rotto della cuffia, l’Everton, compagine della quale oggi ripercorreremo trionfi e sventure.

Everton, il club più antico di Liverpool

Nil Satis Nisi Optimum (Niente è abbastanza se non è il massimo) recita il motto latino del club, ma nella sua storia purtroppo ciò non sempre è corrisposto a verità. Il club più antico di Liverpool nasce nel 1878 come St. Domingo’s, prendendo il nome dalla Chiesa metodista del distretto di Everton. Disputa a breve la sua prima partita, sconfiggendo per 1-0 l’Everton Church Club. Nel 1879 cambia il suo nome nell’attuale Everton e disputa le partite in un campo nell’angolo a sud est dello Stanley Park, salvo poi passare a giocare ad Anfield Road, l’attuale stadio dei rivali cittadini del Liverpool. Nel 1888 è tra i club fondatori della Football League (ancora oggi, con 120 campionati di massima serie disputati su 124, detiene il record nazionale) e nel 1892 costruisce l’attuale Goodison Park, il primo grande stadio moderno del mondo. Inizialmente disputa gli incontri in maglia rossonera, come omaggio al reggimento scozzese di fanteria Black Watch, dato l’alto numero di immigrati scozzesi nel club, per poi passare dopo circa un decennio ai colori ufficiali  usati ancora oggi: il blu royal ed il bianco. Nel 1891 arriva il primo titolo nazionale (attualmente sono nove) e nel 1906 la prima di cinque FA Cup, ai quali vanno aggiunti nove Charity Shield (la Supercoppa inglese). Per le strane coincidenze della storia entrambi i conflitti mondiali interruppero le competizioni calcistiche sempre con i Toffees (soprannome che deriva dal fatto che vicino allo stadio sorgesse un negozio di caramelle) in testa al campionato. La seconda guerra mondiale mise fine alla prima grande epoca di successi del club, trascinato dalla leggenda Dixie Dean (con 60 goal in 39 partite detiene ancora oggi il record di goal in una singola stagione in tutte le competizioni), la cui statua si può ammirare all’entrata dello stadio. Per ritornare agli antichi fasti bisognerà attendere gli anni ’60, che portarono il club in due occasioni nuovamente sul tetto d’Inghilterra.

Trionfo e caduta

Dopo il decennio buio degli anni ’70, gli anni ’80 rappresentarono uno dei periodi più memorabili per l’Everton: guidati da Howard Kendall conquistarono due campionati, una FA Cup e, soprattutto, l’unico trofeo continentale della sua storia, la Coppa delle Coppe, vinta a Rotterdam il 15 maggio 1985, sconfiggendo 3-1 il Rapid Vienna. In quel momento il club sembrava davvero il più forte del mondo, ma il 29 maggio accadde la tragedia dell’Heysel, nella quale persero la vita 39 persone prima di Juventus-Liverpool. Come conseguenza di questo luttuoso avvenimento tutte le squadre inglesi vennero escluse dalle coppe ed i Toffees, oltre a non poter disputare la Supercoppa europea e la successiva Coppa dei Campioni, persero gran parte dei loro pezzi più pregiati. Nel 1992 fu tra i membri fondatori della Premier League, ma i risultati stentavano ad arrivare, tanto che nel 1994 si salvò in modo rocambolesco solo all’ultima giornata. Nel 1995 la conquista della FA Cup e del Charity Shield sancirono gli ultimi momenti di gloria, prima di un inarrestabile declino che arriva fino ai giorni nostri, tanto che nel 1998 arrivò un’altra salvezza in extremis solo grazie alla differenza reti. Nemmeno la presenza in panchina di mostri sacri come Carlo Ancelotti e Rafael Benitez è riuscita a risollevare le sorti del club, amministrato da un board fallimentare del quale da anni i tifosi ne invocano l’abbandono. Domenica scorsa l’ultimo capitolo di questo dramma: un goal a poco più di mezz’ora dalla fine permette di sconfiggere il Bournemouth, mandare in Championship il Leicester City e concedere almeno per qualche mese un po’ di respiro dalle parti di Goodison Park. Unica nota positiva di questi anni (almeno dal punto di vista economico, non certo della tradizione) la costruzione dell’Everton Stadium, che nel 2024 dovrebbe sostituire The Grand Old Lady, come è soprannominato l’impianto attuale.

Il People’s Club

Ma perché l’Everton è così seguito ed amato nonostante gli anni non certo felici? Perché l’Everton appartiene alla città di Liverpool in maniera simbiotica. Mentre i rivali dei Reds provengono spesso da fuori città, quando proprio non da fuori nazione (il Liverpool ha un seguito immenso in Irlanda), i tifosi dei Blues, pur avendo anche loro un importante seguito planetario, sono strettamente legati al tessuto cittadino della Merseyside, tanto che l’Everton viene definito il People’s Club. Anche la componente hooligan ha sempre goduto di rispetto ed è temuta in tutto il paese: i County Road Cutters, gli Scallies ed i Naughty 40 del leggendario Andy Nicholls (vi consigliamo la lettura del suo Scally) hanno fatto molto parlare di sé ed ancora oggi non è mai semplice affrontare i Toffees. Le rivalità più accese si hanno con i cugini del Liverpool e con le due compagini dell’odiata Manchester. E, visto che siamo nella città dei Beatles, Paul McCartney ne è tifoso (non troppo acceso, come lo era invece suo zio), mentre Pete Best, che venne fatto fuori dalla band per far posto a Ringo Starr, ne è un grandissimo appassionato. Nel crest ufficiale del club è invece raffigurata la Prince Rupert’s Tower, una cella datata 1787 e situata nel distretto di Everton che serviva per ospitare per una notte coloro che venivano sorpresi in città per ubriachezza molesta.

Concludiamo con un aneddoto curioso: nel 1994, come già detto prima, l’Everton si doveva giocare la salvezza all’ultima giornata contro il Wimbledon, al che venne chiesto al futuro attore Vinnie Jones se temeva l’ambiente caldo di Goodison. Lui fece l’errore di farsi una risata e di affermare di essere stato in posti peggiori. Inutile dire che la cosa non venne presa bene, tanto che nei pub di Liverpool venne messa una taglia su di lui che consisteva nell’accoltellarlo a fine partita, se le cose fossero andate male. Ebbene, diversi pazzi erano già pronti ad invadere il campo a fine partita per incassare la taglia, ma per fortuna l’Everton si salvò, l’invasione si fece ma fu pacifica e il buon Vinnie portò a casa la pelle. Ma, come avrete potuto intuire, scherzare sull’Everton dalle parti del fiume Mersey non è una grande idea.

Roberto Johnny Bresso

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