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Il pallone e il fischietto: breve storia italiana delle giacchette nere

by Marco Battistini
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giacchette nere, arbitro

Roma, 27 ago – Se il pallone è l’attrezzo fondamentale senza il quale risulterebbe impossibile dilettarsi nel giuoco, da un certo livello di “serietà” in avanti altrettanto diventa essenziale l’utilizzo del fischietto. Bistrattata da tutti, non si può fare a meno della figura arbitrale. Perché (cari ultraliberisti intenti a leggere queste righe) ogni partita in fondo è un po’ come il mercato: no, non si autoregola. Va da sé che nel Museo del Calcio di Coverciano tra i mostri sacri della nostra pedata – giocatori, allenatori, dirigenti – trovino spazio anche diverse giacchette nere. L’organizzazione nazionale che si occupa di strutturare e coordinare il lavoro dei direttori di gara ha una storia risalente agli inizi del secolo scorso. Più precisamente, l’Associazione Italiana Arbitri è stata fondata il 27 agosto 1911. 

Un mondo in via di definizione

Nonostante si giocasse già da diversi anni, agli albori della sempre più popolare pratica sportiva ogni funzione poteva intrecciarsi con altri ruoli. Ad esempio, destreggiarsi nell’arbitraggio una volta appesi gli scarpini al chiodo era cosa assolutamente normale, peculiarità che vista con gli occhi di oggi farebbe gridare qualche malpensante al conflitto d’interessi. Fu così che esattamente centododici anni or sono, al ristorante Orologio di Milano, Umberto Meazza – insieme ad altri volenterosi colleghi – fondò l’AIA. L’ex calciatore di Mediolanum e Milanese, già pioneristico cittì della nazionale, ne divenne il primo presidente

L’Associazione Italiana Arbitri

E’ il primo germoglio di una tradizione che ha fatto scuola in tutto il mondo. La volontà di riunire gli arbitri italiani sotto un unico tetto permise quindi di intraprendere la strada orientata nel perfezionare le prestazioni uniformando le interpretazioni sul regolamento. Obiettivo non secondario fu quello di impegnarsi nell’istruzione di chi volesse “iniziarsi all’ufficio di arbitro”. Importante notare poi come l’associazione intendesse difendere e tutelare “il decoro e gli interessi” dei propri iscritti. Sì, perché ai tempi le cronache sportive già presentavano critiche e proteste sull’operato dei primi fischietti all’italiana. 

Una scuola di successo

In pochi anni ogni grande città del nostro paese poté quindi contare sulla propria sezione locale. Una classe, quella arbitrale della penisola, ancora oggi tra le più apprezzate dell’intero globo. Ma da Meazza ad Orsato – il veneto è stato il migliore del mondo nel 2020 – chi sono stati i più degni rappresentanti della giacchetta nera tricolore?

Partiamo proprio da quest’ultimo. Ancora in attività, ha recentemente diretto la semifinale dell’ultima competizione iridata, Argentina-Croazia. Nella sua personalissima bacheca troviamo un ultimo atto di Champions League (Psg-Bayern Monaco) e – per quanto riguarda i connazionali – il primato di partite europee. In Serie A invece solamente un mostro sacro come Concetto Lo Bello ha raccolto più presenze.

Facendo un passo indietro citiamo l’ex designatore Rizzoli. Per lui doppio riconoscimento da parte dell’Iffhs – 2014 e 2015 – oltre all’onore di arbitrare Germania-Argentina (finale del mondiale brasiliano) e, l’anno precedente, Borussia Dortmund-Bayern Monaco, gara che assegnò ai bavaresi la coppa dalle grandi orecchie.

Giacchette nere, il migliore della storia

Ancora una volta insomma gli italiani lo hanno fatto meglio. Tra chi in passato ci ha degnamente rappresentato con un fischietto in bocca (l’autoritario Mauro, il già citato Lo Bello, il figlio Rosario, Gonella, Agnolin, Lanese, lo stesso Braschi) non possiamo dimenticare il migliore della storia. Pierluigi Collina della sezione di Viareggio, per sei lunghi anni – tra il 1998 e il 2003 – inarrivabile esempio della direzione di gara. Internazionale dal 1995, la sua gavetta nelle serie inferiori inizia sul finire degli anni ‘70. Nel dicembre 1991 l’esordio in Serie A, importante tappa del percorso che lo vedrà protagonista in gare iconiche del periodo a cavallo tra i due millenni  – la rimonta al cardiopalma del Manchester United sul Bayern Monaco e l’ancora discussa Perugia-Juventus. Poteva mancare la consacrazione iridata? Ovviamente no: a Yokohama nel 2002 Germania-Brasile finisce 0-2. Ai verdeoro trascinati da Ronado la coppa, al bolognese gli applausi per una prestazione ammirevole. Un pubblico elogio lungo tutta una carriera.

Marco Battistini

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