Roma, 17 set – E’ un dramma nel dramma quello che vivono adesso molti malati di Alzheimer e ovviamente anche le loro famiglie. Come spiegato da SINdem (Società italiana di neurologia per le demenze), che ha realizzato una ricerca apposita pubblicata sulla rivista Frontiers Psychiatry, dopo appena un mese dall’inizio del lockdown imposto per via dell’emergenza coronavirus, il 60% dei pazienti con Alzheimer ha infatti subito un evidente peggioramento dei disturbi comportamentali preesistenti o addirittura la comparsa di nuovi sintomi neuropsichiatrici. I risultati di questa indagine sono stati resi noti qualche giorno del prossimo 21 settembre, giorno della Giornata mondiale contro l’Alzheimer, e tracciano evidentemente un quadro assai preoccupante.
Oltretutto “in oltre un quarto dei casi – dice Amalia Cecilia Bruni, presidente della SINdem – questa nuova condizione è stata tale da richiedere la modifica del trattamento farmacologico. In generale i sintomi riportati più frequentemente sono stati l’irritabilità (40 per cento), l’agitazione (31 per cento), l’apatia (35 per cento), l’ansia (29 per cento) e la depressione (25 per cento)”. A risentire pesantemente del lockdwon sono stati però anche i familiari dei pazienti: oltre il 65% degli intervistati ha dichiarato di aver accusato evidenti sintomi di stress.
In Italia oltre un milione di malati
Nel mondo ci sono infatti circa 40 milioni di persone affette da questa subdola malattia e in Italia i casi superano il milione. Come noto per lo più gli affetti da Alzheimer sono anziani, quasi tutti over 60. Ma superati gli 80 anni questa patologia colpisce un anziano su 4. Numeri inevitabilmente destinati a crescere con l’aumento dell’aspettativa di vita. “Ad oggi – spiega Gioacchino Tedeschi, presidente Società Italiana di Neurologia (Sin) – le terapie per la cura dell’Alzheimer sono in grado di mitigarne solo in parte i sintomi, ma non hanno alcun impatto sulla progressiva evoluzione della demenza, una volta che questa si sia manifestata”. Ma “abbiamo una nuova speranza: grazie alla ricerca scientifica, l’FDA ha proprio di recente accettato di esaminare gli studi condotti sul farmaco aducanumab, un anticorpo monoclonale che si è dimostrato efficace nella rimozione dell’accumulo di beta-amiloide, causa della patologia, nei soggetti che si trovano in una fase molto iniziale della malattia”, precisa Tedeschi.
Alessandro Della Guglia
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E non finisce qui.