Erevan, 9 set – Vi proponiamo la bellissima lettera di una ragazza armena. Mentre il focus mediatico occidentale è giustamente puntato sulla crisi afghana, rimangono però nell’ombra situazioni geopolitiche non meno importanti. Contesti bellici in cui popoli liberi e sovrani continuano a lottare per la propria autodeterminazione e per i propri confini. È il caso dei guerriglieri Karen in una Birmania sparita dai radar mediatici, rimasti l’unica intransigente opposizione al governo narco-comunista di Rangoon. È il caso della Siria di Bashar Assad, che in questi giorni ha riconquistato importanti zone della provincia di Idlib, riconsegnandole alla patria e strappandole nel silenzio globale al terrorismo internazionale. Ma, per tagliare corto, è il caso anche dell’Armenia che dal novembre scorso vive costantemente con i propri confini sotto attacco della pittoresca coalizione Azerbaigian – Turchia – Israele.
Confini. Patria. Autodeterminazione. Parole che oggi, in Europa, sembrano purtroppo totalmente fuori dal tempo e dal mondo. Ma sono parole, queste, che in terre lontane rappresentano ancora amori non negoziabili, che portano uomini a donare la propria vita al fronte e semplici donne forti a scrivere loro lettere tinte di lacrime, spesso devote al martirio di giovani caduti impugnando un’arma o una bandiera. Una di queste lettere giunge oggi alla nostra redazione ed è rivolta ai ragazzi e alle ragazze di un’Italia troppo assopita, viziata e borghese. Lontana, troppo lontana, dai sentimenti che muovono la purezza delle seguenti parole consegnateci da Armine Kasumyan, giovane armena del villaggio di Dsegh.
Andrea Bonazza
La lettera di una ragazza armena ai coetanei italiani
“Ciao ragazzo e ragazza italiana, conoscente sconosciuto! Ti scrivo da un Paese di cui probabilmente non hai mai sentito parlare, da un Paese difficile da notare anche sulla mappa. Il mio paese è l’Armenia e il mio cuore esplode d’orgoglio soltanto per il fatto che sto per raccontarti la storia eroica della mia nazione che è un nido delle aquile. Comincio il racconto da un tempo molto lontano, da quando il mio antenato Hayk, l’11 agosto 2492 a.C., durante la battaglia di Khoshab sconfisse il suo nemico Bell, facendo guadagnare a tutti gli Armeni il diritto a vivere in questa terra. Hayk fondò un Paese forte, destinato a vivere i giorni di pace e di guerra, a confermare e riaffermare il mio diritto a vivere e creare in questa terra. Il popolo armeno ha origini antiche e la sua storia attraversa anche il regno di Van o Urartu (nella Bibbia è citato il paese di Ararad) intorno al IX secolo a.C., dal quale ha origine la mia capitale Erebwuni oggi Erevan (Argishti A. 786-764) costruita nel lontano 782 a.C. Sul trono di questa terra sono seguite quattro dinastie: Ervanduni, Artashesyan, Arshakuni e Bagratuni. Finito questo ciclo nacque il regno armeno di Kilikia governato tre dinastie: Rubinian, Hetumian e Lusinian. Questo ultimo regno è esistito fino a 1375 d.C.
Sai amico mio, il mio popolo è stato il primo al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato nel 301. A testimonianza di ciò è la cultura cristiana sparsa ovunque sul territorio del mio Paese: chiese, monasteri, cappelle dalle quali salgono le nostre preghiere a Dio. Vorrei che tu ci vedessi inginocchiati a pregare di fronte un khachkar, la croce incisa in un blocco ti pietra, una soluzione artistica unica della cultura Cristiana, i cui esemplari irrepetibili si ritrovano a ogni passo. La mia nazione ha vissuto giorni gloriosi, amico mio, ma anche perdite e momenti dolorosi, a volte irreversibili. L’Armenia ha vissuto nella potenza mondiale di Tigran il Grande, il cui regno si estendeva dal Mar Nero al Mar Caspio; così come ha vissuto senza uno Stato perché sotto il dominio straniero.
Noi Armeni siamo stati emigrati e perseguitati, addirittura abbiamo subito un feroce genocidio ma noi Armeni siamo rimasti sempre in piedi. Sai perché e come, amico mio? Perché nel momento del pericolo il mio popolo è diventato un pugno, è diventato forza, è diventato soldato. Perfino le donne hanno sfidato il pericolo e il nemico. Ecco di chi vorrei raccontarti, amico sconosciuto, del soldato armeno. È uno che, a nome di un’intera nazione e per amore del suo popolo, col freddo e con la pioggia, con la neve e nella tempesta, lui resta fermo sulla trincea che incarna la forza e l’anima fiera del mio popolo. La nostra identità è la fonte creatrice del nostro diritto di vivere liberamente nella nostra terra. Padre Mcrtich Khrimjan, famoso sacerdote armeno-cattolico, diceva: “Il diritto appartiene al forte”. Sai, amico mio, questo diritto di vivere liberamente nella mia terra nei secoli è stato conquistato e difeso dal soldato armeno! Con coraggio, con amore, sacrificio e forza di volontà nonostante un mondo circostante da sempre indifferente al nostro destino.
Sono tante le storie dei nostri eroici soldati, storie di un’umanità semplice ma carica di valori e soprattutto di un grande amore. Io ti vorrei raccontare del mio eroe: Eghisce Hovhannisyan, uno dei numerosi immortali nella Seconda Guerra per l’Artsakh (Nagorno Karabakh) che si è conclusa a novembre del 2020. Eghisce era un mio amico d’infanzia, lui abitava a Vanadzor – capitale della rigogliosa provincia del Lori nel nord dell’Armenia – mentre io continuo a vivere nel vicino villaggio di Dsegh. Le case dei nostri nonni materni si trovano accanto, così, quando arrivavano le vacanze estive, ci incontravamo e ci riunivamo sempre nel cortile della mia infanzia. La presenza di Eghisce era animata da giochi, dalla vivacità, dalla spensieratezza e da incredibili sciocchezze che insieme inventavamo, per rendere le vacanze più interessanti ed esuberanti. Quando arrivava settembre era tempo di ritornare a scuola e così il mio amico ritornava di nuovo nella sua città a Vanadzor. Per molti anni la nostra amicizia è stata scandita da questi ritmi finché Eghisce non entrò nell’Accademia militare intitolata all’eroe nazionale Vasghen Sargsyan, a Erevan, nella capitale del nostro Paese. Durante questo periodo in famiglia sentivo sempre parlare con orgoglio dei suoi successi: dopo la laurea in Accademia, partì per l’Artsakh come un ufficiale specializzato dove diventò prima comandante e poi maggiore. In questa regione dove è nata la lingua armena, il mio amico Eghisce ha trovato anche l’amore che ha generato due bellissimi figli.
La vita scorreva felice quando nel 2016 dovette affrontare con successo il suo battesimo di fuoco nella cosiddetta Guerra dei quattro giorni. Ma la pace è stata infranta nuovamente dall’Azerbaigian durante l’autunno del 2020, in quella che oggi è chiamata la Seconda Guerra per l’Artsakh e anche in questa dolorosa occasione Eghisce si è donato per difendere la sua adorata Patria, la sua amata famiglia, i suoi cari amici. Questa volta la battaglia è stata più impegnativa e Eghisce ha mostrato e dimostrato tutto il suo valore in diverse azioni per fronteggiare l’attacco impari del nemico. Ma in guerra il destino del soldato non dipende solo dalla propria forza e dalle proprie capacità perché spesso il fato abbraccia le gesta del soldato con il sacrificio dell’immortalità. Sì, il mio amico Eghisce, in quelle settimane di fuoco e amore, è stato immortalato nel giardino degli eroi armeni che continueranno a proteggere la pace della nostra Patria da lì, dall’alto… E finché vivrà la volontà del mio Soldato l’Armenia non si inginocchierà”.
Armine Kasumyan
* In foto Yerablur, il cimitero militare (o degli eroi) di Erevan
4 comments
La lettera non può che toccare il cuore, non è rivolta cero a me, che per età sono lontano da questa ragazza, dovrebbe far riflettere i piu giovani, presi sempre piu dai social, sempre concentrati su un cellulare che li allontana dalla realtà, attenzione, questi paesi sono distanti da noi, non sembrano veri, ma quello che abbiamo ci è costato tantissimo in termini di vite umane, non è così scontato che sia eterno, tocca a loro difendere quello che è stato raggiunto, perchè una volta persa la libertà non è cosi facile da riconquistare.
Qui in Italia, se si parla un poco di più di patria, si è colpiti inesorabilmente da accuse si sovranismo nel senso peggiore della parola.
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Se riesco, appena posso, sono in Armenia per il dovuto rispetto, considerazione e presa diretta d’ atto della vera Croce del Est ! C.P. potrebbe anche preparare un viaggio culturale alternativo, quindi anche con capacità critiche, alle cagate movimentiste in vigore… tipo “I love N.Y.”.