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App anti contagio, l’appello di 300 scienziati: “Fortissimi dubbi sulla privacy, fate chiarezza”

by Cristina Gauri
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Roma, 21 apr – E’ ancora polemica attorno alle app di tracciamento dei contatti concepite per il contenimento e il monitoraggio dell’epidemia di coronavirus. I nodi cruciali continuano ad essere quelli che hanno fatto infiammare il dibattito nei giorni scorsi: volontarietà del download – anche se il governo nella mattinata di oggi si è affrettato a precisare che l‘utilizzo dell’app Immuni sarà su base volontaria privacy ed eccesso di sorveglianza. A spaventare l’enorme flusso di dati sensibili che passerà attraverso l’utilizzo di queste applicazione: chi controlla dove andranno a finire quei dati, e per quanto tempo?

La questione è spinosa, e necessita urgente risoluzione, a tal punto che 300 tra accademici e ricercatori in tutto il mondo, tra cui 9 italiani, hanno lanciato un appello perché non venga presa una china pericolosa. «Siamo preoccupati che alcune soluzioni (…) si traducono in sistemi che consentirebbero una sorveglianza senza precedenti della società», scrivono nella lettera aperta. «Dobbiamo garantire che preservino la privacy».

In particolare, i 300 esperti puntano il dito su un aspetto, quello del sistema di raccolta delle informazioni, di cui auspicherebbero la decentralizzazzione, mentre alcuni Paesi, come Francia e Germania, si stanno dirigendo dritti verso la centralizzazione. «Ed è pericoloso», spiega al telefono Dario Fiore da Madrid, ricercatore 37enne siciliano dell’Imdea che è uno dei portavoce della petizione. «Solo un sistema decentralizzato impedirebbe un domani di usare queste informazioni nel modo sbagliato».

Cerchiamo di spiegare meglio la situazione. Le app come Immuni si potranno scaricare volontariamente e non richiederanno alcuna forma di registrazione. All’atto della registrazione il sistema genererà un codice indipendente dalla nostra identità e dai nostri dati; di seguito, utilizzando il segnale bluetooth inizierà a compilare un registro cifrato dei contatti avuti in prossimità degli altri proprietari di cellulari. L’accesso al registro è bloccato e comunque composto esclusivamente da sequenze alfa numeriche, o almeno così ci viene assicurato. Chi risulta positivo al Covid-19 – e qui sarebbe interessante capire in che modo, a fronte dell’esecuzione di un numero davvero esiguo di test – riceverà il messaggio di allerta sull’app dal personale medico dopo il test. A quel punto un messaggio di allerta verrà inviato a tutti coloro che potrebbero essere in pericolo perché capitati nelle prossimità del contagiato. Superata la pandemia, tutti i dati dovranno essere cancellati. Sempre secondo quanto ci viene detto.

«Ma un conto è conservare queste informazioni su un server centrale, un altro è avere sul server solo il codice di chi è risultato positivo e poi gli altri smartphone si connettono periodicamente per controllare se lo abbiamo incontrato senza trasferire alcun nostro dato», spiega Fiore. E secondo quanto riportato da Repubblica, la startup Bending spoons, che sta dietro l’ideazione di Immuni, aderisce al consorzio Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing (Pepp-PT), nato per sviluppare soluzioni di “contact tracing”. E pare che proprio la scorsa settimana il consorzio abbia accantonato senza fornire spiegazioni il progetto Dp-3T, che puntava proprio alla decentralizzazione. Proprio questa mossa ha destato sospetti in molti membri della comunità scientifica internazionale, che ora richiedono che le applicazioni siano open source.

Cristina Gauri

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