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Baby gang, parla un membro delle forze dell’ordine: “Tutti magrebini, qui sanno di poter delinquere”

by Valerio Savioli
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baby gang

Roma, 16 giu — La questione delle cosiddette baby gang ricomincia a far capolino sulle principali testate giornalistiche del Paese. Sarebbe però errato circoscrivere la problematica come episodica o ridurla a semplice fenomeno di ordine pubblico. Gli episodi recenti di Peschiera del Garda ricordano gli incresciosi incidenti della Riviera Romagnola durante la scorsa stagione estiva. Al di là di questi gravi episodi, nel paese serpeggia strisciante qualcosa di cui sarà fondamentale capirne le cause per porre, quanto prima, un argine e poi una soluzione che possa definitivamente porre rimedio a una deriva che sarebbe deleterio sottovalutare.

La Francia, con le sue banlieue, è lì a testimoniare cosa significhi non solo essere vittime di una politica immigrazionista imposta dall’alto “senza se e senza ma”, che scarica l’insicurezza e il degrado alle periferie, condiziona il mercato del lavoro e la stessa tenuta socioeconomica di un paese ma è il risultato plastico di uno scoramento ormai insanabile che caratterizza gran parte delle classi dirigenti occidentali, ormai separate dalle esigenze primarie della popolazione. Quartieri no go zones li possiamo trovare nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, in Svezia o in Germania, paesi che balzano spesso all’onore della cronaca per disordini ed episodi ricollegabili all’immigrazione incontrollate e le sue conseguenze.

Le baby gang sono quindi un fenomeno culturale e politico, strettamente legato all’immigrazione e all’integrazione che pretende una presa di posizione netta da parte delle Istituzioni che dovrebbero, perlomeno nell’immediato, affiancare le amministrazioni locali le quali, per ricordarlo e in linea di massima, possono attivare il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica (CTOSP) e cercare di predisporre servizi di prevenzione. Da un punto di vista amministrativo i Comuni possono adottare ordinanze sindacali per disporre divieti e sanzioni amministrative nell’ambito del territorio dello stesso Comune per fatti o comportamenti che non hanno però rilevanza penale.

Di recente, sul quotidiano La Verità, Francesco Borgonovo, Mario Giordano e Adriano Scianca, hanno affrontato la problematica da varie prospettive, partendo dall’assenza del padre, individuando nella destrutturazione simbolica dell’autorità una concausa di questa deriva, passando per le responsabilità immigrazioniste di una certa classe politica e finendo con un’interessante intervista a Laurent Obertone, già autore del romanzo distopico a carattere etnico Guerriglia.

A queste considerazioni vogliamo aggiungere la prospettiva di chi ha a che fare, quotidianamente, con questo fenomeno, una chiacchierata con un membro delle forze dell’ordine che ha richiesto l’anonimato e che dipinge chiaramente i limiti concreti con cui Polizia e Carabinieri hanno a che fare.

Si fa un gran parlare di Baby Gang, fenomeno che pare essere esploso in Riviera lo scorso anno.  Da uomo che fa parte delle forze dell’ordine, ci puoi raccontare la tua esperienza?
«In tutti gli episodi per cui sono intervenuto, i soggetti erano sempre di origine nordafricana, nel 95% dei casi. E’ sicuramente un fenomeno dove la componente etnica gioca un ruolo fondamentale».

Parliamo di identità: Secondo la tua impressione, questi giovani si sentono italiani?
«No, anzi. Nonostante siano stati accolti nel nostro paese, quindi gli è stato dato tutto, comprese le possibilità di crescere, c’è come un rifiuto, una non appartenenza».

Qual è la loro reazione quando vedono arrivare le divise?
«Completamente spavaldi. Non hanno un minimo di rispetto delle forze dell’ordine a differenza di qualche ragazzo italiano che ancora ce l’ha».

Quindi c’è differenza tra un ragazzo di terza generazione e un italiano non di origine straniera?
«I ragazzi che non sono di terza generazione sono più rispettosi, quando gli viene dato l’ALT hanno timore, a differenza di questi ragazzi di terza generazione che ripeto essere di origine nordafricana (la cui etnia è quella più problematica) ma anche albanese o rumeno, non hanno paura di nulla».

Molti di questi ragazzini, aspettavano l’arrivo dei loro coetanei in stazione ferroviaria, con le bandiere del Marocco.
«Il 90% che fermiamo hanno la cittadinanza italiana! Si comportano addirittura peggio di quelli che sono appena arrivati! Poi ti fai la solita domanda, ossia quando ti fermo e hai una pagina piena di reati già compiuti, che ci fai in giro?».

Questi ragazzini sembrano spavaldi ma secondo te di cosa possono aver paura?
«L’unica vera paura che possono avere è quella di essere trasferiti nel loro paese di origine dalla famiglia di provenienza. Il vero problema è che qui in Italia tutto è permesso e loro lo sanno. Questa sarebbe la soluzione ideale. Capita addirittura che siano gli stessi genitori di questi ragazzi a temerli! Quando succedono queste cose – e noi dobbiamo cercare i loro genitori – è proprio il genitore ad avere paura del figlio. A volte succede che il figlio ha preso il sopravvento, a differenza dei genitori che ai tempi vennero qui per lavorare! Sembra che questi ragazzi vogliano rivendicare la propria appartenenza col paese di origine, sentendosi più forti e superiori rispetto agli italiani e nonostante il genitore, che spesso è anche una brava persona (quando lo trovi), è successo che il genitore veniva insultato e sbeffeggiato di fronte alle forze dell’ordine da parte di questi minorenni. E’ una cosa assurda».

Essendo costoro di cittadinanza italiana, come si può fare?
«Coloro che non hanno la cittadinanza italiana, come dicevo prima, dovrebbero essere immediatamente rimpatriati, perché è la loro vera paura. Per gli altri, che in gran parte sono minori, gli istituti di pena per i minori dovrebbero essere una certezza di detenzione e sconto della pena, perché la rapina, ad esempio, è un grave reato penale! Appena compi quattordici anni sei imputabile e quindi ti aspetta via del Pratello a Bologna [carcere minorile n.d.a.]».

Le condizioni – a livello di organico – con cui le forze dell’ordine operano in Riviera, sono sufficienti?
«A livello di organico potremmo anche essere sufficienti ma non lo è. Il problema è la professionalità perché per combattere determinati reati ci vogliono persone preparate ad affrontare questa determinata cosa o servizi specializzati per quel reato, perché è inutile che tutte le estati le rapine avvengono nei soliti posti noti a tutti, è inutile mettere due auto in più che girano a vuoto quando tutti i reati avvengono nei soliti posti. Ci vogliono persone addestrate con divise giuste e divisa da ordine pubblico (OP) che vigilino nei luoghi sensibili, perché la baby gang che vede le divise è già intimorita. E’ ovvio che non si tratta solo di prevenzione ma anche di efficacia e tempestività del servizio che potrebbe anche cogliere la flagranza del reato ed evitare perdite di tempo».

Si è recentemente parlato, qui a Riccione, di chiedere vigili in prestito ad altre località, secondo te sarebbe sufficiente?
«No, ma sicuramente, nei luoghi sensibili, qualsiasi Forza dell’Ordine è ben accetta, anche perché poi nella Polizia Municipale ci sono persone preparate fisicamente».

I vigili possono intervenire in caso di problemi di ordine pubblico?
«Certo, come no! Polizia giudiziaria! E se hanno la pistola è anche pubblica sicurezza».

Visto che i vigili dipendono dalle amministrazioni locali, allora i Comuni potrebbero incidere sul supporto?
«Certo! Una cosa scandalosa che non capita a Riccione è che qui non ci sono pattuglie di vigili alla notte, a differenza del mio paese di provenienza di cinquemila abitanti! Nel caso di un incidente stradale notturno l’unica volante a disposizione è quella dei carabinieri! Quindi Riccione è completamente scoperta, perché i vigili sono presenti, al massimo, fino alle due del mattino».

Ma quindi il Comune si potrebbe dotare di una presenza notturna della polizia municipale?
«Io non so che regolamento hanno loro ma in una città di Riccione non tenere una pattuglia alla notte, anche per un semplice passo carraio non è possibile».

Quindi se c’è un incidente alla notte devono andare i carabinieri?
«Se sono liberi! Quindi il più delle volte fanno da soli».

Tornando alle baby gang, queste fanno uso dei social per organizzarsi e coordinarsi. La polizia postale li tiene sotto controllo?
«Sicuramente la polizia postale li controlla e li monitora e ci avvisano, tant’è vero che sabato scorso dopo che avevano annunciato il loro arrivo, li aspettavamo in stazione con il supporto della polizia da Ancona».

Stiamo parlando di una situazione legata alle città turistiche o è un problema nazionale?
«Nelle grandi città c’ è lo stesso problema. Quello che si verifica d’estate nelle località turistiche è quello che ormai capita d’inverno nelle grandi città come Milano, Roma e Torino ecc.».

Che ne pensi della possibilità di utilizzo del taser?
«La cosa più utile che ci potessero dare».

Quali potrebbero essere delle misure efficaci per arginare questa problematica? Le amministrazioni locali, oltre al lavoro delle prefetture, vi potrebbero sostenere?
«Presenza sul territorio ma con persone specializzate e una forma decisa d’intervento, perché è inutile intervenire se questi sanno di restare impuniti. Infine, lo Stato potrebbe intervenire efficacemente su questo problema: io, ad esempio, ero qui a Riccione nei primi anni del 2000 e in stagione ero affiancato da professionisti che conoscono il lavoro, con dieci o vent’anni di servizio. Se oggi mi mandi, come supporto, un ragazzino di vent’anni che ha paura della loro ombra è tutto inutile! Il servizio e gli obiettivi sensibili non sono organizzati efficacemente, anche nella dotazione di ordine pubblico. Il paradosso è che durante il fine settimana delle recenti elezioni dove, tra l’altro, è capitata un’altra rissa e dove c’era una sola pattuglia a disposizione, i colleghi di Riccione sono stati spostati nei seggi in provincia di Parma. Tutto questo grazie ad un approccio burocratico/ragionieristico che non tiene in considerazione le aree sensibili del paese ma ci muove come pedine da una parte all’altra. Durante l’estate il reparto radiomobile non aumenta ad esempio, cosa che nei primi anni Duemila, tra polizia e carabinieri c’erano contemporaneamente dodici pattuglie fuori, rispetto alle attuali due dei carabinieri e una della polizia che però lo scorso anno non facevano le notti. Facevano solo mattina e pomeriggio fino a metà luglio. Quindi la gara, tra chi ha bisogno, è di chi arriva per primo a chiamare!»

E’ facile quindi dedurre che qualsiasi altro intervento che necessiti la vostra presenza passi in secondo piano.
«Il 90% degli interventi d’estate vengono lasciati andare, perché appena noi usciamo di servizio, la prima rapina che succede, se non li hai presi in flagranza, li devi portare in caserma e perdere tutta la notte magari senza nemmeno arrestarli ma anche se li arresti il più delle volte li rimandano a casa e, se in quell’occasione, tu ci chiami perché hai i ladri in casa… amen!»

Ma allora perché durante i cosiddetti lockdown si è visto un dispiegamento di forze mai viste?
«Perché durante il Covid non si andava in licenza, essendo anche inverno dove in pochissimi ne usufruiscono, il personale veniva incentivato dall’indennità di ordine pubblico per il Covid, quindi venivano pagati soldi in più per far girare le volanti a controllare chi portava fuori il cane o chi andava a correre e fare gli sceriffi. Mentre d’estate siamo in costante emergenza. Basterebbe spostare, ad esempio, le forze dell’ordine da una Bologna che si svuota a una Riviera che si riempie. Oggi dicono che non ci sono i soldi, però per impiegare le forze dell’ordine durante il Covid c’erano. Ora gli unici rinforzi sono i ragazzini appena usciti dalla scuola di formazione. Al massimo ce ne mandano una quindicina dedicati alla stazione e alla pattuglia a piedi. Mancano i professionisti».

A tuo avviso lo Stato e le amministrazioni locali come dovrebbero intervenire?
«Azione decisa da parte dello Stato e da parte del Comune. Le amministrazioni locali devono intervenire coi regolamenti che regolano la vendita di alcolici ma anche gli stessi esercenti dovrebbero non vendere alcol ai minori. Anche gli shottini a cinquanta centesimi, ossia le attività di basso livello, tra i barettini e chi piazza in un appartamento il doppio o il triplo dei possibili occupanti, hanno le loro responsabilità! Sicuramente non possiamo fare noi anche questi controlli!  Ma i regolamenti ci sono, basta vedere la legge sulla vendita dell’alcol del 2010, alla seconda infrazione (la prima volta sono 6.000 euro di multa che i pakistani o i bangla di solito non pagano) si chiude il locale. A livello nazionale si deve intervenire sull’istruzione, sulla sanità e sulla sicurezza per infondere a questa generazione un senso di appartenenza e rispetto per l’Italia».

Valerio Savioli

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3 comments

fabio crociato 16 Giugno 2022 - 9:02

E sanno di potersi drogare, spacciare per procurarsi altra droga con profitto aggiunto e cosa via x vivere ed “esistere” in territorio estero… Ma qualcuno ha le palle almeno per ammetterlo?! Il taser necessita perché diventano cieche bestie violente sotto anfetamine… Basta sminuire il vero problema che non si può più affrontare semplicemente, ordinariamente, con le buone o con le ragionevoli cattive, come una volta, oramai tanti decenni fa.

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Valter 17 Giugno 2022 - 9:38

Si sono superati i limiti in cui si poteva discutere di problematiche sociali , processi di integrazione e affini, l’immigrazione e i supi effetti negativi sono un fenomeno di portata nazionale e costituisce il primo punto fra i probelmi del paese. Qualsiasi formazione pollitica che voglia essere coerente dovrebbe includere la soluzione del problema dell’immigrazione.
Al momento nessuno lo sta facendo o comunque solo marginalmente, è probabile che i nostri politici ritengano sconveniente intervenire sull’immigrazione, temono di scontrarsi con l’onda di corrente dominante, un pensiero a senso unico che non accetta neanche lipotesi di dissenso. Quindi meglio non rischiare punti di percentuale di consenso.
Questo la dice lunga sulla caratura della nostra classe politica, ormai sinonimo di inettitudine.

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