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Novara: CasaPound inaugura monumento a Vittorio Dorè, 17enne fucilato dai partigiani

by La Redazione
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Novara, 21 set – Esisteva in una cittadina in provincia di Novara dal nome Trecate, una piccola croce in metallo posta sulla parte destra dell’ingresso del Cimitero comunale. Su questa croce vi era inciso, su di una targhetta, un nome e due date: “Dorè VITTORIO. 1928 – 1945“. Ai molti viandanti che passano, questo era un nome che non diceva niente; un nome neanche originario della stessa città di Trecate. Ponendo però attenzione la data di nascita e quella di morte si può solo capire che, al momento del decesso, era poco più che un ragazzo di neanche diciotto anni. Un fatto strano, inoltre, è notare che era l’unica croce presente al di fuori del recinto del cimitero. Una croce piantata nel terreno, al cui intorno vi era del ghiaietto chiaro e tante erbacce non strappate, sintomo di trascuratezza da parte delle persone. Strano, che una piccola parte del verde comunale, che è nel complesso ben curato, si presentava abbandonata, proprio dove c’era questa croce, per di più dedicata ad un ragazzo morto.

Chi era Vittorio Dorè?

Vittorio Dorè era nato l’11 dicembre 1928 a Fidenza (Parma), da dove si trasferì successivamente, con tutta la famiglia, a Novara. Figlio di Giovanni, un operaio, e di Luigia De Benedetti, una casalinga, al momento della morte era uno studente. Non si conoscono i particolari della vita privata del giovane; diversamente è documentato che fu volontario di guerra durante l’ultimo conflitto mondiale (1940-1945), in particolare aderì dopo l’8 settembre 1943 alle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana e, data la giovane età, fu inquadrato nelle “Fiamme Bianche”, i battaglioni giovanili dell’O.N.B. (Opera Nazionale Balilla), nel Reparto di Novara.

Lui e sua sorella uccisi dai partigiani

Fratello di Wanda Jolanda Dorè, anch’essa volontaria di guerra nelle Forze ausiliarie dell’Esercito Repubblicano con il grado di “Ausiliaria” del Servizio Ausiliario Femminile (Saf) aggregata alla Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti” di Milano e assassinata da elementi partigiani il 27 aprile 1945 a Milano a seguito dei fatti successivi la resa del Reparto. Nei mesi conclusivi della Guerra mondiale Vittorio Dorè fu fu caturato e fucilato dai partigiani comunisti presso la cinta muraria del Cimitero comunale. Era il 12 maggio 1945, ore 23:30 (come riportato sull’Atto di Morte – Parte II – Serie B – pagina 39 – numero 3, compilato il 9 luglio 1945 dall’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Trecate, il ragioniere Angelo Porazzi, Segretario Comunale, avendo ricevuto dal Governatore del Regno di stanza a Novara un avviso di morte).

L’attuale area dedicata fu creata per onorare la memoria del giovane Vittorio Dorè nel luogo dove venne assassinato. Non si conosce la data di creazione del manufatto, consistente in una croce metallica nera con targa riportante il nome del defunto e le date di nascita e di morte (1927-1945); molto probabilmente, secondo testimonianze orali, fu posta dai famigliari e dagli ex commilitoni di guerra nel Secondo dopoguerra. Dall’esame dei registri cimiteriali il defunto Vittorio Dorè risulta sepolto nel Cimitero comunale di Trecate (campo comune – II° riquadro a sinistra, a partire dal 12 maggio 1945), ma di fatto oggi nel campo comune non c’è. Nei registri non è stata annotata una successiva operazione di esumazione o trasferimento di salma in altro Comune.

Giustiziato dai partigiani a guerra finita

L’Atto di Morte porta la data del 9 luglio 1945 ed è registrato come “morte violenta”; infatti, dalle ricerche storiche effettuate, risulta che il ragazzo diciassettenne fu ucciso “lungo la cinta” del Cimitero di Trecate per motivazioni di carattere politico. La tragica vicenda di Vittorio Dorè è documentata anche nelle cronache locali attraverso gli scritti dell’ingegnere Carlo Antonini, già membro del Cln di Trecate e sindaco della stessa Città di Trecate. Scrive l’Antonini nel primo volume intitolato “1943-1983. 40 anni per Trecate” (Pagg. 42, 43): «(…) Arrivati a Trecate, venimmo a sapere che nulla era avvenuto, ne fummo felici, ma da allora la nostra presenza nel C.L.N. e in Comune fu diversa. Stavamo attenti e guardinghi per evitare che avvenissero altre nefandezze, anche se ugualmente non riuscimmo ad impedire che qualcuna di queste venisse compiuta, come quella dell’uccisione del geom. Marengo e del giovane di 18 anni fucilato al cimitero di Trecate.».

A pag. 61, l’Antonini, cita un articolo dal titolo “Delitti non puniti” del Bollettino Trecatese (il periodico locale della Parrocchia trecatese) pubblicato il 5 settembre 1948, scritto dal dottor Sacco, in cui si chiedeva la giusta punizione per i colpevoli di tali efferati eccidi, compiuti per solo tornaconto politico e oscurantismo ideologico: «Due delitti. Il geom. Marengo, Tecnico Comunale, il 25 Maggio 1945 veniva prelevato da ignoti  – elementi partigiani (n.d.s.) – portato nei pressi del Ticino e colà barbaramente trucidato, dopo essere stato alleggerito di quanto possedeva. Il Marengo era un brav’uomo. Un uomo che si estraniava da ogni divergenza di carattere politico. Era un timido. Chi l’ha ucciso? Su questo delitto si sono fatti ancora molti commenti e induzioni.

Sull’altro delitto, il diciottenne Dori Peppino di Novara (Vittorio Dorè, nome ed età riportate in maniera errata poiché ancora non aveva compiuto diciotto anni, ndr) fucilato all’ingresso del Cimitero dove è sepolto, viene spontanea la domanda: quale delitto, politicamente intenzionale può compiere un minorenne per meritare la fucilazione?» e proseguendo con un commento l’autore del libro afferma «Fu ucciso, lo diciamo noi, perché catturato in divisa mentre rientrava a casa sua a Novara. Nessuno lo conosceva. Don Stanislao – il parroco di Trecate (n.d.s.) – non riuscì a convincere coloro che si accingevano a commettere il delitto. Avevano tanto odio in cuore e un grande desiderio di vendetta dovuto alle sofferenze subite, tali da credere di avere il diritto di farsi giustizia. Don Stanislao non poté fare altro che assistere alla morte. Fu un altro delitto rimasto impunito con la scusante che si trattava di delitto compiuto per ragioni politiche e non per lucro». Il Bollettino Trecatese del 18 settembre 1948, a tre anni da quegli eccidi, rivolgendosi alla popolazione locale, chiese ancora la punizione dei colpevoli, la quale non avverrà mai.

Il progetto di recupero e restauro di CasaPound

Il progetto portato a termine dal lavoro di militanti e simpatizzanti del gruppo di CasaPound Italia Novara ha visto la costruzione di una struttura monumentale così da valorizzare la zona e recuperare la croce originale.Così l’architetto Fabiano Bariani che ha seguito il lavoro dal progetto alla realizzazione: “Memoria e Identità come elementi di continuità nel tempo, che danno immortalità a ciò che rappresentano; non a caso, infatti, Cicerone scriveva che «il monumento è la conservazione della memoria», una memoria che si materializza, per volontà collettiva e spirito comunitario, attraverso i principi dell’architettura.

I monumenti, infatti, si pongono come elementi primari e punti fissi della dinamica urbana proprio per il loro significato simbolico e aulico che vanno a ricoprire in una determinata comunità. Scopo di questo piccolo manufatto, inoltre, è proporre il reale concetto di monumento non come semplice “arredo urbano”, ma come pietra di paragone e di esempio: sfidare i cittadini a mettersi in gara con gli esempi del passato per la costruzione vitale del proprio tempo. «L’uomo del futuro sarà colui che avrà la memoria più lunga», affermava Nietzsche: infatti la memoria è il motore della cultura, grazie alla capacità del “ricordo di portare via con sé” qualcosa e di trarne profitto. L’architettura va quindi qui intuita anche come il principale “canale di trasmissione” della memoria storica attraverso i suoi manufatti”.

Simone Gaiera

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1 commento

Marco Allasia 21 Settembre 2020 - 1:39

Chiedo scusa ma il titolo interno al pezzo “Giustiziato dai partigiani a guerra finita” mi pare inopportuno. Infatti la parola “giustiziato” mi pare richiamare un elemento di giustizia che in quel caso fu del tutto assente. Forse era meglio mettere “assassinato”. Un saluto cordiale, Marco Allasia

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