Roma, 1° lug – La divulgazione degli audio di Amedeo Franco ha provocato un terremoto. Qui il giudice – deceduto nel 2018 – confidò a Berlusconi che la sua condanna in Cassazione del 2013 sarebbe stata «pilotata dall’alto». Una brutta tegola per la magistratura, che peraltro ancora non si è ripresa dal caso Palamara. E per questo le toghe tentano di difendersi dalle accuse: «La motivazione della sentenza è stata sottoscritta da tutti e cinque i magistrati componenti del collegio, quali co-estensori della decisione. Non risulta che il consigliere Amedeo Franco abbia formalizzato alcuna nota di dissenso», ha fatto sapere in una nota la Cassazione, rimarcando il ruolo del giudice relatore di allora.
L’Anm sul piede di guerra
Ma le parole più dure sono venute dall’Associazione nazionale magistrati (Anm), l’ex regno di Luca Palamara. Il sindacato delle toghe, infatti, ha parlato di «affermazioni gravissime che non soltanto attribuiscono gravi reati ai giudici autori della sentenza, ma attaccano violentemente e irresponsabilmente la Suprema Corte di Cassazione, pilastro della giurisdizione della Repubblica, e l’intero ordine giudiziario, accreditato come gruppo che opera fuori dalla legalità». L’Anm punta quindi il dito contro stampa e televisione che «hanno oggi [ieri, ndr] fornito all’opinione pubblica una ricostruzione della vicenda processuale, sfociata nella condanna dell’allora senatore Berlusconi, basata su gravi e plurime distorsioni di dati di fatto, oltre che sull’utilizzo della registrazione delle presunte dichiarazioni di un ex magistrato, nel frattempo deceduto».
E ancora: «Alterando evidenti dati della realtà (la prescrizione era imminente, dal che l’assegnazione del processo alla sezione feriale. La decisione fu unanime e sottoscritta anche dal giudice poi intervistato, come risulta dal comunicato della Corte) si attribuisce alla Corte di Cassazione e alla Magistratura intera un preordinato disegno di persecuzione di un imputato, disegno coerente con ordini superiori, individuati da taluno, in modo del tutto arbitrario, nella regia di componenti del Csm». Secondo l’Anm, «si commenta da sé un tale metodo, che trascina nella contesa politico-mediatica una persona che non potrà smentire, precisare, spiegare tali pretese dichiarazioni, pur risultando il suo contributo processuale all’adozione della decisione e persino alla sua motivazione, da giudice esperto della materia oggetto del processo».
«Operazione mediatica faziosa»
Insomma, le toghe non ci stanno a passare per marionette della politica: «Il parallelismo col cosiddetto caso Palamara, che non ha evidenziato alcun uso strumentale della giurisdizione, bensì il diverso fenomeno delle indebite interferenze della politica, parlamentare ed associativa, nell’attività consiliare, è del tutto improprio. E risponde alla logica di travolgere ogni vicenda processuale da una generica accusa di parzialità del giudice, sempre più ricorrente in questi giorni proprio sulla base di analoghe, faziose operazioni mediatiche».
Travaglio torna a insultare Berlusconi
Naturalmente, in tutta questa vicenda, non poteva mancare la difesa d’ufficio del Fatto Quotidiano, il giornale di riferimento per grillini, toghe e manettari. Intanto viene intervistato per l’occasione Antonio Esposito, il presidente del collegio che condannò Berlusconi in via definitiva e che, secondo il giudice Franco, avrebbe ricevuto pressioni politiche, peraltro subendo un ricatto. Esposito, che è editorialista proprio presso il Fatto, respinge le accuse e assicura che Franco si sarebbe inventato tutto. Poi ovviamente scende in campo Marco Travaglio in persona, il più arcigno avvocato delle toghe. Il quale, c’era da aspettarselo, difende a spada tratta gli «eroici» magistrati del collegio che emise la storica sentenza contro Silvio, gettando una sinistra ombra sull’operato e la buonafede di Franco e rilanciando, infine, con una delle sue classiche invettive: Berlusconi è «un delinquente seriale che i giudici o li paga o li induce a delinquere». Di più: il nastro di Franco «riporta il dibattito sulla riforma della giustizia nei giusti binari: in Italia le uniche carriere da separare sono quelle degli imputati eccellenti da quelle dei giudici collusi». Ed è tutto un clangor di manette.
Elena Sempione