Roma, 29 apr – Muovono milioni di follower e altrettanti consensi (vedi: Ferragni e Fedez) oltre ad essere, in effetti, la nuova frontiera del marketing: adesso gli influencer vogliono un sindacato.
Influecer e sindacato
La proposta, da molti considerata provocatoria, è stata lanciata dall’influencer 25enne Mafalda De Simone. In fondo, negli altri Paesi una sorta di “normativa” che tutela chi usa il proprio spazio social per fare, in effetti, pubblicità già esiste. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ad esempio, esistono da circa un anno sigle AIC (American Influencer Council) e TCU (The Creator Union) che si fanno carico di analizzare gli aspetti economici di quello che per molti è diventato un mestiere e che, come ogni lavoro, rischia di diventare una fregatura, soprattutto per le miriadi di aspiranti influencer molto bravi a creare contenuti, ma poco accorti quando si tratta di essere corrisposti in qualcosa che non sia la mera “visibilità”.
“Si guadagna subito, ma …”
Si unisce al coro degli influencer in cerca di sindacato anche Paola Di Benedetto, vicentina, 26 anni, un milione e settecentomila follower su Instagram: “È un errore pensare di far tutto da soli. Bisogna proteggersi, avere alle spalle qualcuno che ti preceda e tratti per te con le aziende. In Italia è difficile che quello degli influencer venga considerato un lavoro: dai 50.000 follower in poi, trattare da soli non conviene, meglio rivolgersi a un’agenzia. E poi attenzione: si può guadagnare bene, ma si può perdere altrettanto velocemente il consenso”. Si dice spesso che gli influencer non sappiano fare niente, il che è in parte vero, senza offesa: sono belle facce, bei corpi, cervelli scaltri un tanto al chilo, ma si mettono – comunque – al servizio del commercio. Il problema è che a forza di farsi selfie hanno un po’ perso di vista l’attualità politica e cioè il fatto che in Italia i sindacati non contano più niente …
Ilaria Paoletti
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