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Crisi energetica: l’inverno che ci aspetta, tra razionamenti e rivolte (1° parte)

by Valerio Savioli
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Roma, 15 ago — Dopo aver attraversato quella fase di psicosi collettiva seguita alla inesorabile caduta del “Governo dei Migliori”, ora il paese si ritrova, in via del tutto eccezionale, in piena campagna elettorale balneare. Una campagna elettorale elettrizzante a tal punto da tenere gli italiani incollati allo schermo del proprio cellulare per cercare disperatamente notizie sul futuro politico di Calenda & co oppure a temere la solita deriva fascista celata dietro all’eventuale vittoria del centrodestra, soprattutto riguardo alla principale forza politica secondo i sondaggi, ossia Fratelli d’Italia, sebbene quest’ultima non perda occasione sia per rimarcare la propria distanza nei confronti del Ventennio che per rassicurare sulla propria collocazione internazionale di fermo stampo atlantista.

Ma mentre tutto questo teatrino estivo scorre sotto ai nostri occhi, la realtà e la sua inesorabilità non si placano: quello che si sta dipanando e di cui nessuno in campagna elettorale pare voglia o sappia affrontare a dovere, pare essere un cambiamento radicale non solo a livello geopolitico ma anche in termini di qualità di vita di ognuno di noi, senza dimenticare il peso di paradigmi imposti – e ora in gran parte abbandonati – dall’alto come la “svolta green”, utopismo politicamente correttissimo che potrebbe anche essere alla radice del rialzo dei prezzi, cominciato ben prima della guerra in Ucraina.

L’autunno (apocalittico) è alle porte

Partiamo citando il New York Times, testata che piace a quelli che piacciono, nello specifico un articolo dell’11 agosto a firma di David Wallace Wells sull’inverno che ci potrebbe attendere: l’opinionista del famoso quotidiano newyorchese delinea un futuro dai tratti apocalittici che si abbatterà sul Vecchio Continente: “nelle ultime settimane, le prospettive hanno cominciato a sembrare più oscure.

I diktat Ue

All’inizio di agosto l’Unione europea ha approvato una richiesta che gli stati membri riducano il consumo di gas del 15 per cento, una richiesta piuttosto ampia e inizialmente contraria a molti. In Spagna, di fronte a un’ondata di caldo record al culmine della stagione turistica del paese, il governo ha annunciato restrizioni sull’aria condizionata, che potrebbe non essere inferiore a 27 gradi. In Francia, un articolo dell’Associated Press afferma che i “guerriglieri urbani” stanno scendendo in strada, spegnendo le luci dei negozi per ridurre il consumo di energia. Nei Paesi Bassi una campagna chiamata Flip the Switch chiede ai residenti di limitare le docce a cinque minuti e di abbandonare completamente l’aria condizionata e le asciugatrici. Il Belgio ha annullato i piani per il ritiro delle centrali nucleari e anche la Germania, avendo escluso la possibilità di una simile inversione di tendenza a giugno, ora sta valutando la cosa.”

E’ dall’inizio del conflitto e a seguito delle sanzioni imposte alla Russia, con la speranza indiretta di fiaccarne l’avanzata militare, che si fa un gran parlare di approvvigionamento energetico, è stato proposto di scegliere tra il condizionatore e la guerra e, molto spesso, abbiamo letto rassicurazioni generiche dei Ministeri preposti – vedasi le dichiarazioni di Cingolani – passando poi a messaggi allarmanti che preannunciavano misure creative come lo spegnimento dell’illuminazione pubblica a determinati orari e razionamenti energetici, con tutto quello che questo potrà comportare sulle aziende a ciclo produttivo continuo e sul sistema economico in generale, visto che al razionamento potrebbero aggiungersi bollette salatissime.

Errore di sottovalutazione

La sensazione è che da parte delle classi dirigenti si sia ampiamente sottovalutata la crisi nel cuore dell’Europa e le sue, potenzialmente, gravissime ripercussioni. “Solo alla fine di aprile la Russia ha interrotto le forniture di gas a Polonia e Bulgaria, le prime due vittime della sua campagna di pressione energetica. Ma le spedizioni complessive di gas sono a meno di un terzo del livello di appena un anno fa. A metà giugno, le spedizioni attraverso il Nord Stream 1 sono state ridotte del 75%; a luglio sono stati tagliati di nuovo.” Risulta difficilissimo aspettarsi che queste mancanze di materie prime possano essere compensate dalle forniture di gas liquido proveniente dagli USA, il quale oltre ad essere molto caro, necessita di infrastrutture ad hoc.

Siamo in guerra

Al di là delle già citate battute del governo dei migliori, la nostra è una posizione di cobelligeranza, anche in virtù dell’invio di armi all’Ucraina, da parte di chi, a suo tempo, si è dimostrato più realista del Re, con a seguito (quasi) l’intero parlamento e in tempo di guerra l’economia si mobilita, come sostiene in un recente podcast con Jason Bordoff[3] esperto di politiche energetiche, Tatiana Mitrova, ricercatrice della Columbia University: “questo è qualcosa che i politici e i consumatori europei non volevano ammettere da molto tempo. Sembra terribile, ma questa è la realtà. In tempo di guerra l’economia si mobilita. Le decisioni sono prese dai governi, non dal libero mercato. Questo è il caso dell’Europa per questo inverno”, ha affermato, aggiungendo che potremmo assistere a razionamento forzato, controlli sui prezzi, sospensione dei mercati energetici e chiusure di interi settori industriali. “In realtà non stiamo parlando di prezzi estremamente elevati, ma stiamo parlando di assenza fisica di risorse energetiche in alcune parti d’Europa.” [Continua]

Valerio Savioli

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