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La morte come spettacolo: 150 euro per vedere i funerali di Giulia Cecchettin

by Michele Iozzino
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funerali giulia cecchettin

Roma, 5 dic – Non era difficile aspettarselo, i funerali di Giulia Cecchettin sono stati seguiti da tantissime persone e hanno avuto una vastissima copertura mediatica. Un’attenzione che si però è facilmente trasformata per qualcuno in un’occasione di guadagno.

150 euro per assistere ai funerali di Giulia Cecchettin

Un posto in terrazzo per assistere alla cerimonia funebre venduto a 150 euro, neanche fosse il prezzo di un biglietto per un concerto o per una partita di calcio. A far venire a galla l’episodio è Il Mattino di Padova, che ha pubblicato l’audio tra il gestore di un locale pubblico che si affaccia su Prato della Valle a Padova, dove sorge la Basilica di Santa Giustina, e un fotografo. Inizialmente il gestore avrebbe acconsentito l’accesso al fotografo senza chiedergli nulla in cambio, salvo poi cambiare idea una volta ricevute altre richieste simili. Nell’audio i due parlano tranquillamente degli estremi bancari per il pagamento, rendendo l’intera discussione ancora più surreale. Insomma, un posto in prima fila venduto a caro prezzo così da avere una posizione privilegiata per la classica foto a effetto da vendere ai giornali.

Tra pornografia del dolore e spettacolarizzazione della realtà

Sia chiaro, in questa faccenda non si salva nessuno, né il compratore né il venditore. Anzi, partecipano entrambi a quella spettacolarizzazione e mercificazione della realtà che frantuma il significato di ogni cosa. Un momento di cordoglio, anche collettivo, come quello rappresentato dai funerali di Giulia diventa così un prodotto di mercato, un qualcosa da esibire e su cui guadagnare. Il tutto rispondendo a una assurda pornografia del dolore. Non c’è più confine intimo da rispettare, ma tutto viene dato in pasto al pubblico. Non c’è nemmeno partecipazione a quella sofferenza, sublimazione in qualcosa più alto, il dolore viene invece svuotato di senso e si trasforma in un oggetto mercificato che attira su di sé l’attenzione per il suo essere uno spettacolo osceno, letteralmente “fuori dalla scena”, in quanto appunto spettacolarizzazione di qualcosa di così profondamente intimo e privato come la sofferenza.

Michele Iozzino

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