La donna si è così rivolta alla Corte Suprema di Los Angeles e ha fatto causa all’uomo, ritenendo che la legge californiana su questa forma di fecondazione assistita violi i diritti di uguale protezione garantiti dalla Costituzione. “Non considero più gli accordi di maternità surrogata favorevolmente come in passato. Ho una profonda empatia per gli uomini che vogliono figli. Tuttavia, ora penso che il concetto di base di questo tipo di accordi vada riesaminato”, ha detto la signora Cook. Qualsiasi sarà la decisione della Suprema Corte californiana, il verdetto farà giurisprudenza in materia e risponderà ad un quesito tutto nuovo: una donna che affitta il suo utero può rifiutarsi di abortire quando ciò le sia richiesto dai genitori intenzionali e ci siano rischi per la salute di madre e bambino?
L’obiettivo legale della donna è quello di ottenere i diritti parentali su un bambino e la custodia per gli altri due, chiedendo di non poter essere citata in giudizio per la scelta di non abortire e quindi per “inadempienza contrattuale“. Negli Usa infatti, ci sono clausole nei contratti per maternità surrogata in cui il genitore intenzionale può richiedere una riduzione selettiva per la sicurezza di donna e feti. Il padre biologico in ogni caso accetterà la decisione della Cook e alleverà tutti e tre i figli, sempre che la madre non vinca la causa e le conceda i diritti parentali e la custodia sui bambini. In ogni caso un ulteriore dimostrazione delle contraddizioni e in parte della “mostruosità” di questo tipo di pratica, dove alla mercificazione del corpo della donna si accompagna quella dei figli, in balia di uomini e donne che hanno stravolto il senso naturale della genitorialità.