Roma, 15 mag – Il capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, durante un’audizione del comitato parlamentare Schengen sui flussi migratori tenutasi martedì scorso a Palazzo San Macuto in Roma, ha messo in guardia il Governo e le forze politiche sul pericolo di un ritorno di scenari di guerra navale convenzionale nel bacino del Mediterraneo.
“Stanno tornando forme convenzionali di guerra marittima, come si vede dagli investimenti fatti dalle Nazioni in giro per il mondo – avvisa De Giorgi – Ad esempio nel Mediterraneo abbiamo navi indiane e cinesi e la Russia ha ripreso a posizionare i propri sommergibili nel Mediterraneo e nel Mar del Nord. Questo impone la ripresa dell’addestramento”.
L’ammiraglio ha inoltre sottolineato, nel corso dell’audizione, la necessità di mettere a fattor comune le risorse militari di tutti i Paesi europei non solo in funzione di controllo dei flussi migratori e salvataggio in mare, ma anche in rapporto a questa nuova escalation militare che si va delineando in Mediterraneo dal sapore di Guerra Fredda.
Infatti a partire dal crollo del blocco sovietico (1990) e quindi con la cessazione della minaccia “convenzionale” rappresentata dalle flotte dei paesi del Patto di Varsavia, è cambiato l’indirizzo strategico delle Forze Armate e quindi anche quello della Marina Militare, che ha dovuto far fronte ad un nuovo tipo di conflitto che viene definito “asimmetrico” contro un avversario spesso sfuggente, dotato di armi non sofisticate ma efficaci in un ambito di tattica “mordi e fuggi”; ovvero fare fronte a operazioni anti-guerriglia (Somalia, Afghanistan), di sea control in chiave di attività antipirateria (operazione Atalanta) e anche di supporto logistico/umanitario in paesi del terzo mondo (terremoto di Haiti). Chiaramente un cambio di strategia implica un cambio non solo nei piani esecutivi ma anche una necessaria rivisitazione delle specifiche delle commesse navali: la portaerei Cavour, ad esempio, ha capacità multiruolo che la rendono adatta a compiti di interdizione navale tramite la sua squadra aerea, a svolgere attività di proiezione di forza anfibia, e anche come posto di emergenza umanitaria avanzato.
Sembrerebbe tutto bello, ma la realtà come spesso capita è diversa. La nostra flotta, stante i continui tagli al bilancio Difesa, è in fase di costante smantellamento da almeno 20 anni, le nostre unità navali, salvo rari casi, sono in rapida obsolescenza, i tagli al personale voluti dalla legge Di Paola, sempre in chiave di revisione dei conti, dimezzeranno gli effettivi nei prossimi anni.
Il quadro che ne deriva, considerando che la predetta nuova “legge Navale” stenta ad andare in porto, è allarmante andando a vedere la consistenza numerica della nostra Flotta e quella futura se non cambieranno le scelte politiche.
Attualmente (dati 2014) oltre la già citata portaerei Cavour si trovano in linea 4 navi anfibie con 27 anni di servizio in media (Garibaldi compreso) che non saranno sostituite e che quindi faranno perdere la capacità di proiezione di forza anfibia entro il 2025. Particolare attenzione, dato l’allarme lanciato dall’ammiraglio De Giorgi, va riservata alla componente antisom e antinave della Flotta: i cacciatorpediniere passeranno da 4 a 2, le fregate da 11 a 8 (le nuove classe FREMM), i pattugliatori da 10 a 6, i sommergibili da 6 a 4 (ricordiamo che i nostri sommergibili hanno la funzione di Hunter/Killer, ovvero di ricerca e distruzione di unità navali nemiche, anche della componente sottomarina), e in particolare le 6 corvette e i 10 cacciamine in forza alla nostra Marina non prevedono di essere sostituiti con nuove costruzioni, perciò sarà persa una componente cruciale della Flotta. In totale le unità passeranno dalle 60 attuali, a 25/27 entro il 2025.
Troppo poche per un Paese come il nostro che occupa una posizione strategica nel Mediterraneo, mare che è sempre stato crocevia di tutti i traffici commerciali verso l’estremo oriente e le americhe. Fa riflettere che paesi ben lontani dal nostro scacchiere strategico di competenza (India, Cina e Russia) abbiano capito quanto questo sia importante ai fini dei propri interessi strategici, mentre il nostro Governo preferisce utilizzare lo strumento navale principalmente come una sorta di servizio di traghetti per le migliaia di immigrati provenienti dal nord Africa.
Oltre a questo, c’è da considerare che una riduzione della flotta così repentina, provocherà, nell’arco di soli 10 anni, la scomparsa della capacità cantieristica italiana e del suo indotto, facendo così perdere un prezioso know how che difficilmente potrà essere recuperato in tempi brevi. Chi ne pagherà le conseguenze saranno decine di migliaia di lavoratori costretti alla cassa integrazione negli arsenali di Genova, La Spezia, Monfalcone e Taranto, dato che è praticamente impossibile che questi vengano riassorbiti dal turismo, dall’artigianato locale e dalle altre piccole attività che già sono state colpite pesantemente dalla crisi.
Paolo Mauri