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Rimpatri dei clandestini? Si possono fare: ecco come

by Luigi Di Stefano
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Roma, 4 giu – Le intenzioni del neo ministro dell’Interno Salvini in materia di migranti, clandestini e rimpatri sono ferme e chiare: chi è regolare e lavora non ha niente da temere, per i clandestini è finita la pacchia. Il meccanismo che si è creato è noto a tutti: il “migrante” si rivolge a pagamento (o indebitandosi) ad organizzazioni criminali che lo portano sulla costa libica o, dopo gli interventi del ministro Minniti, tunisina. Da lì organizzano il “salvataggio” in combutta con le Ong, per lo più straniere: il “Trattato” firmato dalla passata legislatura consente di portarli tutti in Italia contravvenendo alle leggi del mare, e una volta “salvati” diventano “richiedenti asilo” con almeno due anni di ospitalità a carico dei contribuenti italiani alimentando un business per le Onlus (leggi clientele) che si avvia ai 6 miliardi di euro l’anno. Quando poi questi si vedono negare il diritto di asilo (solo il 5/6% fugge da guerre e persecuzioni) interviene la magistratura con il “permesso umanitario” o in alternativa il migrante resta come clandestino, dando vita a fenomeni come quello di Macerata: la Onlus che non deposita i bilanci, non versa l’Iva, gestisce senza controllo 40 milioni l’anno, e paga l’alloggio a spacciatori/squartatori.
Come se non bastasse al prossimo incontro sulla riforma del Trattato di Dublino in sede Ue si vorrebbe inserire che il paese di prima accoglienza se li deve tenere almeno 10 anni (cioè in Italia, magari contavano di trovarsi di fronte un governo stile seconda repubblica da compensare con qualche mancetta). Se Dio vuole (gli elettori) questo sistema deve finire, ma tutto l’apparato mediatico/propagandistico della sinistra è ancora intatto ed è chiarissimo che andremo incontro a campagne contro “la deportazione”, “i lager”, “la cieca violenza”, ed è prevedibile che appena il neoministro compirà i primi rimpatri gli scafisti organizzeranno una qualche maxi strage in mare con centinaia di vittime che affogano rigorosamente davanti alle telecamere. Ad uso dell’agit-prop nostrana ed europea.
Poichè fra clandestini e richiedenti asilo parliamo di circa 500mila persone che ci costano circa 1.100€/mese ciascuno (13.200€/anno) la cosa si può risolvere come hanno fatto gli israeliani: 2.900 dollari a chi se ne va spontaneamente. 3mila euro nei loro paesi sono una fortuna, e rappresentano solo tre mesi di mantenimento in Italia. Per 500mila persone fanno 1,5 miliardi una tantum rispetto ai 5/6 miliardi che costano ogni anno. I 3mila euro si depositano a nome del rimpatriando su una banca del suo paese, che in questo modo è costretto a farsi identificare per tramite le autorità del suo paese richiedendo in anticipo i documenti senza i quali non può incassare. Una volta ricevuti i documenti dal suo paese gli si prende il Dna e le impronte, firma la rinuncia alla richiesta di asilo o al permesso umanitario, e che se solo “tenta” di rientrare in Italia si fa una ventina di anni di galera su qualche isola sperduta. A questo punto provvede a tornare al suo paese (costo del biglietto detratto dai 3mila euro) dove col bottino si può aprire una attività, prendere un paio di mogli etc. Quel che gli pare.
Il grosso se ne andrebbe da solo, senza “deportazioni”, “lager” etc. e risparmieremmo una barca di soldi da dedicare ai poveri italiani. Naturalmente questo può funzionare se si blindano i confini marittimi, chiarendo a tutti che le navi Ong verranno internate e con campagne stampa nei paesi di partenza chiarendo il principio che per venire in Italia si deposita richiesta e documenti alle ambasciate e ai consolati italiani, e “si aspetta la chiamata”. Anche anni. Chi restasse ancora da clandestino rifiutando la generosa offerta sarebbe chiaramente perchè ha una fonte di reddito illegale molto superiore ai 3mila euro, vedi Macerata. E se vanno via da soli perchè “gli conviene” nessuno potrà dire niente, tantomeno i “fratelli” europei e i mezzibusti radical chic nostrani.
A questo punto bisogna affrontare un altro aspetto: il ritorno dello schiavismo e del caporalato nelle nostre campagne. Non tutti quelli che sono venuti in Italia col barcone sono andati a vivere di espedienti o di criminalità, c’è chi è andato a spaccarsi la schiena sui campi a tre euro l’ora o venti al giorno. E questo succede anche perchè la nostra agricoltura specie nel meridione è stata via via annientata economicamente dalle “aperture” ai prodotti stranieri in dumping, aperture allegramente votate in sede Ue. Anche dai nostri “rappresentanti” (tranne la Lega) che, in cambio di non si sa cosa, una volta si sono divertiti ad ammazzare le arance “autarchiche”, una volta i pomodori, una volta le mele (queste dei produttori settentrionali), una volta l’olio di oliva (dalla Puglia alla Toscana, dal 2019) e così via.
È chiaro che se il produttore italiano nel rispetto delle leggi sul lavoro e ambientali ha un costo di produzione di 50 cent/kg, e gli arriva franco Messina lo stesso prodotto a 14 cent/kg, e che quindi la multinazionale dell’aranciata offre al produttore italiano 7 cent/kg perchè lo può “prendere per il collo”, è chiaro che le nostre campagne (il secondo comparto agricolo d’Europa, il primo per eccellenza mondiale) ritorna al medioevo: italiani e stranieri. Allora si deve pensare a una seria riforma che tuteli gli operai agricoli e allo stesso tempo le imprese, sancendo obblighi – e severi controlli – a carico di queste ultime, che dovranno per contro essere protette dal dumping straniero.
Luigi Di Stefano

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