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Stupro di gruppo della Rete Antifascista: il Comune di Parma non si è costituito parte civile

by Francesca Totolo
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Roma, 19 mag – Questo articolo è una piccola anticipazione del nuovo libro-inchiesta di Francesca Totolo che sarà pubblicato a settembre da Altaforte Edizione.

Se non fosse stato per un video ritrovato dagli inquirenti durante le indagini riguardanti la bomba che gli antifascisti misero davanti alla sede parmigiana di CasaPound, lo stupro di gruppo di una ragazza avvenuto nel settembre del 2010 a Parma, mentre si svolgeva una festa delle Rete Antifascista, sarebbe rimasto impunito. L’inchiesta del 2013 che seguì al ritrovamento di quel video che documentava quella violenza, commessa proprio da chi si diceva “compagno” della vittima, portò alla condanna per stupro di Francesco Cavalca, Francesco Concari, e Valerio Pucci, e alla condanna di altre quattro persone per favoreggiamento. Tutti erano appartenenti alla Rete Antifascista. Per anni, i militanti parmigiani coprirono quella inaudita violenza, anche arrivando a minacciare e a isolare la vittima che, spaventata delle possibili reazioni dei “compagni”, non denunciò i suoi carnefici all’epoca dei fatti. Intervistata, la ragazza stigmatizzò l’atteggiamento tenuto dalle donne della Rete Antifascista: “Sono state le peggiori. Mi hanno coperto d’insulti perché ho denunciato dandomi dell’infame per aver fatto entrare gli sbirri dentro ai centri sociali. Hanno persino messo in giro la voce che mi ero messa con i fascisti e che andavo in giro con quelli di CasaPound. Penso che chi difende questa gente sia anche peggio degli stupratori. E poi io non ho denunciato nessuno. Volevo tutelare i miei genitori ed ero imbarazzata per una violenza che mi era piombata addosso da parte dei compagni. I carabinieri sono arrivati a loro perché hanno visto il filmato sul telefonino”.

Parma, sei danni dopo lo stupro

Nel 2016, sei anni dopo lo stupro e solo in seguito al rinvio a giudizio dei tre violentatori, il collettivo femminista Romantic Punx rompe finalmente il silenzio, pubblicando un comunicato: «Gli uomini attorno a quel tavolo sui cui giaceva inerme la ragazza continuano a frequentare cortei, concerti, spazi occupati e autogestiti… E ridono, parlano, bevono birre, escono con ragazze, stringono nuove amicizie; nonostante giri un video in cui ‘fanno sesso’ con una donna che sembra morta. Dove siamo state in quei tre anni che vanno dallo stupro al giorno in cui due pattuglie sono andate a cercare la ragazza a casa della sua famiglia? Perché al posto di diffondere il video, umiliarla, organizzare assemblee con gli stupratori non è stato fatto muro attorno alla ragazza? Perché per salvare il gruppo si è deciso di abbandonare chi davvero aveva bisogno? Ciò che è accaduto a lei poteva succedere ad ognuna di noi. Ed oggi ci alziamo in piedi contro la violenza avvenuta quella notte in via Testi, la vergogna di quel video diffuso e l’orrore di quel nomignolo. Contro il suo abbandono e l’incapacità di vedere il disagio di una donna. Contro l’omertà e il muro di silenzio. Contro i modi e il linguaggio adottati nei suoi confronti. Contro chi l’ha processata, condannata e punita basandosi su voci e fatti incompleti e di parte. Contro chi l’ha minacciata, aggredita, allontanata dagli spazi occupati usando la violenza”.

Il Comune di Parma non si costituisce parte civile

Essendo lo stabile in cui è avvenuto lo stupro di proprietà del Comune di Parma ancora nelle disponibilità di chi aveva concesso quello spazio alla Rete Antifascista, il gruppo consigliare della Lega depositò due interrogazioni. Nel 2018, Laura Cavandoli, Emiliano Occhi, Paolo Azzali e Luca Ciobani chiesero conto al sindaco Federico Pizzarotti e alla giunta in merito ad una “manifestazione di mobilitazione e di lotta antifascista e antirazzista, con concerti e dj” avvenuta il 20 ottobre del 2018 nell’area parcheggio dello stabile di via Testi numero 2 “aperta al pubblico, pubblicizzandola su Facebook, Whatsapp e internet”, ovvero nello stesso stabile in cui avvenne lo stupro di gruppo del 2010 dato in locazione all’Unione Sindacale Italiana. Il gruppo della Lega chiese anche se il Comune di Parma si fosse costituito parte civile in quel processo. La risposta arrivò dal vicesindaco Marco Bosi. Lo stabile di proprietà comunale fu dato in locazione dal Comune di Parma all’Unione Sindacale Italiana (poi rinominata Ateneo Libertario) con delibera della giunta comunale del 6 marzo del 1998. Nonostante, nel 2015, un sopralluogo abbia “posto in evidenza lo stato di avanzato degrado della struttura, oltre ad importanti problematiche igienico/sanitarie”, il contratto di locazione del valore di 389,68 euro all’anno rimarrà comunque valido fino alla scadenza, ovvero fino al primo marzo del 2022.

Il vicesindaco evidenziò che “all’avvocatura municipale non è mai pervenuta alcuna notizia relativa ai fatti di cui all’interrogazione citata (stupro di gruppo, ndr) e che “il Comune di Parma non si è costituito parte civile nel procedimento penale citato nell’interrogazione”. Commentando la risposta scritta del vicesindaco Marco Bosi, Emiliano Occhi, capogruppo della Lega in Consiglio comunale a Parma, tuonò: «La risposta della Giunta comunale è incredibile: il Comune dice di non sapere nemmeno che quello stupro è avvenuto nei propri locali in via Testi. Curioso anche che dopo otto anni si continuino a organizzare manifestazioni antifasciste nel medesimo immobile. Auspichiamo che il Comune lo assegni ad associazioni più degne e meritevoli e ci aspettavamo, ma non è mai troppo tardi, che il sindaco e la giunta chiedano scusa alla ragazza violentata e alla città per la loro leggerezza sulla vicenda. Per non dire peggio. Vorremmo anche sapere dal sindaco (Federico Pizzarotti, ndr) perché il Comune di Parma non si sia costituito parte civile nel processo contro gli autori dello stupro della festa antifascista come ha invece deciso di fare in un processo simile più recente”.

La seconda interrogazione della Lega

Il 10 marzo 2019, il gruppo consigliare della Lega inoltrò una seconda interrogazione al sindaco e alla giunta del Comune di Parma per chiarire ulteriori aspetti della vicenda. Precisamente, i consiglieri chiesero se la manifestazione antifascista avvenuta nel parcheggio antistante allo stabile di via Testi fosse stata autorizzata, “Quali locali dell’immobile di via Testi n.2 sono stati concessi a Ateneo Libertario, da quanto tempo, in base a quale contratto e con quali canoni e spese a carico” e “Se lo stupro avvenuto nella notte del 12 settembre 2010, che ha visto la condanna da parte del Tribunale di Parma di 3 giovani della Rete Antifascista di Parma si è verificato proprio nel medesimo stabile di Via Testi n. 2”. Il gruppo della Lega chiese altresì il motivo della non costituzione come parte civile nei procedimenti “aventi ad oggetto la grave violenza del 12 settembre 2010» dato che «sindaco e giunta hanno più volte manifestato l’intenzione di costituirsi parte civile nei processi di stupro e violenza sulle donne verificatisi nella nostra città”. Durante il consiglio comunale del 25 marzo 2019, il vicesindaco Marco Bosi rispose che “La Rete Antifascista non era un inquilino allora e non sono inquilini oggi”, aggiungendo che il Comune non era a conoscenza della manifestazione antifascista che si sarebbe svolta nell’area parcheggio antistante allo stabile di via Testi al numero 2 e che, quindi, non era stata autorizzata perché probabilmente svolta all’interno dei locali dati in locazione dal Comune all’Ateneo Libertario (ex Unione Sindacale Italiana). Che fosse una manifestazione di piazza ben promossa mediaticamente, anche in radio e sui social network, risultava chiaro anche dalla conferenza stampa del 17 ottobre 2018 indetta dall’Officina Popolare Parma in cui veniva dato appuntamento proprio nell’area parcheggio di via Testi numero 2.

“Non ci sono state le tempistiche”

Per quanto riguarda la non costituzione come parte civile del Comune di Parma nel processo che vedeva sul banco degli imputati i tre militanti della Rete Antifascista, l’assessore Marco Ferretti spiegò che “lo statuto (del Comune di Parma sulla costituzione di parte civile nei casi di violenze di genere, ndr) è entrato in vigore nel dicembre del 2014 e che la costituzione (di parte civile, ndr) deve avvenire all’aperture del dibattimento, quindi non ci sono state le tempistiche per la costituzione”. Come è noto, la sentenza del tribunale del riesame di Bologna che aveva disposto gli arresti domiciliari per i tre indagati risaliva al marzo del 2015, quindi prima dell’apertura del dibattimento, mentre il processo presso il tribunale di Parma è iniziato solo nel 2016. La costituzione di parte civile può avvenire dalla fissazione dell’udienza preliminare fino alla prima udienza dibattimentale. All’inizio del 2015, quindi dopo l’entrata in vigore dello statuto del Comune di Parma, il procedimento penale era ancora nella fase di indagine. Il Comune di Parma non si è costituito parte civile nemmeno nel processo per estorsione e favoreggiamento nei confronti di quattro persone vicine ai tre condannati per stupro.

Bollini e dichiarazioni antifasciste

Durante il consiglio comunale del 25 marzo 2019, l’assessore alla Partecipazione e ai Diritti dei cittadini, Nicoletta Paci, evidenziò che la prima costituzione di parte civile del Comune di Parma riguardava il processo che vedeva come imputato Federico Pesci, il commerciante arrestato per violenza sessuale nell’agosto del 2018. Anche il sindaco Federico Pizzarotti intervenne durante la seduta del consiglio, cercando di spostare l’attenzione sui casi giudiziari riguardanti la mafia e la criminalità organizzata dove il Comune si era già costituito parte civile e stigmatizzando che le interrogazioni del gruppo consigliare della Lega avessero scopi politici “perché questi erano pericolosi sovversivi di sinistra”. Come è noto, Pizzarotti fu il primo sindaco a richiedere la dichiarazione antifascista alle associazioni che intendevano utilizzare gli spazi comunali. Addirittura, durante il primo lockdown, nell’aprile 2020, il Comune di Parma richiedeva il bollino antifascista anche per accedere ai buoni spesa. Dopo il coro di critiche sollevato, Pizzarotti dovette fare marcia indietro, parlando di una svista nel regolamento.

Come ha sottolineato l’onorevole Laura Cavandoli in consiglio comunale, «costituendosi parte civile in questo procedimento penale (quello per lo stupro di gruppo, ndr), probabilmente il Comune avrebbe scoperto quale immobile o quale associazione conduttore dello stabile di via Testi fossero coinvolti nell’organizzazione di queste feste. Non mi sembra che sia meritorio che queste associazioni occupino ancora spazi del Comune». A questo punto, sarebbe opportuna una terza interrogazione del gruppo consigliare della Lega per chiarire, una volta per tutte, le responsabilità dell’associazione che aveva in locazione le stanze dello stabile di via Testi dove avvenne lo stupro di gruppo dei militanti della Rete Antifascista nel settembre del 2010.

Francesca Totolo

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1 commento

fabio crociato 19 Maggio 2021 - 10:44

Anche in questo caso pusher-consumatori non c’ entrano nulla, andiamo avanti così che altre “avventure” ci attendono. Se si toglie la droga, gli estremisti fuori di testa dei centri sociali scompaiono o quasi.
(Penetrazione coatta di un fumogeno…, sveglia!),

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