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Terapia domiciliare, il protocollo Remuzzi funziona: “In ospedale solo 2 pazienti su 90”

by Cristina Gauri
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protocollo remuzzi

Roma, 31 mar – Buone notizie sul fronte delle terapie domiciliari contro il coronavirus: arrivano i primi, incoraggianti risultati dello studio retroattivo condotto sul «protocollo Remuzzi» elaborato all’Istituto Mario Negri di Bergamo. Curare da casa si può, iniziando una terapia che si discosta dalle raccomandazioni dell’Iss a base di tachipirina, vigile attesa e sperare che la situazione non si aggravi.

Si interviene subito, senza aspettare il tampone

Sostanzialmente, all’insorgere dei primi sintomi si inizia subito a curare il paziente senza aspettare l’esito del tampone: con farmaci da banco si cerca di prevenire la moltiplicazione del virus che porta al fenomeno infiammatorio tipico delle forme più virulente della malattia. Quello che conduce dritti all’ospedale e in intensiva, per intenderci.

Il protocollo Remuzzi manda in soffitta la tachipirina

Anche nel protocollo Remuzzi viene archiviato l’uso della tachipirina, più dannoso che utile: al suo posto subentra l’Aspirina e in caso di dolori antinfiammatori come l’Aulin. Per casi più seri e sempre sotto la supervisione di un dottore, si utilizza quel cortisone così demonizzato durante la prima ondata. Il paracetamolo o tachipirina ha un effetto negativo perché consuma glutatione, una sostanza antiossidante che serve per frenare l’iperossidazione negli stati infiammatori. In più, utilizzare solo il paracetamolo in questa patologia nasconde la curva termica e porta a problemi come l’ingresso nel secondo stadio, quello della polmonite, senza quasi accorgersene.

Lo studio

Sono circa una trentina i medici di famiglia ad aver adottato il metodo messo a punto al Mario Negri sperimentandolo su di un bacino di circa 500 pazienti. Lo studio, di prossima pubblicazione, mette a confronto 90 pazienti trattati sin dall’esordio dei primi sintomo con il protocollo Remuzzi senza aspettare l’esito del tampone, con altrettanti pazienti positivi al Covid a pazienti Covid «trattati con diversi regimi terapeutici». La ricerca, fa sapere il Corriere, ha carattere retrospettivo e non prospettico su esplicita richiesta dell’Aifa, l’agenzia nazionale del farmaco. I risultati, quindi, sono stati analizzati andando all’indietro nel tempo e non sperimentando il protocollo Remuzzi su casi ex novo.

Ospedalizzazioni abbattute

Il metodo, sebbene non dia risultati immediati, funziona. I sintomi più leggeri (affaticamento, dolori, perdita dell’olfatto)  persistono molto meno nei novanta pazienti curati con il nuovo protocollo: il 23 per cento contro il 73%. Ma la differenza abissale emerge nel nodo più critico: le ospedalizzazioni. Solo il 2,2% dei pazienti curati con la terapia domiciliare del Negri (2 su 90) sono finiti in ospedale. Nell’altro gruppo si registrano invece 13 ospedalizzazioni su 90: il 14,4%. I giorni di ricovero scendono così a 44 contro 481,  e i costi cumulativi per i trattamenti ordinari, intensivi e subintensivi, sono di 28.000 euro contro 296.000. Decisamente non sono bruscolini. Prevenire la sindrome infiammatoria, quindi, equivale ridurre i ricoveri, scongiurando la saturazione delle strutture ospedaliere e delle terapie intensive. Il motivo, cioè, alla base delle estenuanti restrizioni che gli italiani subiscono da un anno.

Cristina Gauri

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