“L’eventuale equiparazione dei matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di sesso diverso – sottolinea il magistrato – e la relativa trascrizione nei registri dello stato civile rientrano nella competenza esclusiva del legislatore nazionale, cui questo giudice non potrebbe comunque sostituirsi”.
Sorprendente la replica dell’avvocato Luciano Vinci, difensore delle due donne: “Il tribunale civile di Roma ha preferito irrigidirsi su una lettura letterale della norma, non si è andati oltre la lettura letterale della norma (art 107) che fa espresso riferimento a ‘marito’ e ‘moglie’ nella celebrazione del matrimonio. Abbiamo proposto al giudice un’interpretazione costituzionale riferendoci all’articolo 3 secondo cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Inoltre, se è vero che nel nostro ordinamento il matrimonio omosessuale non è previsto, è altrettanto vero che non è vietato. Il giudice avrebbe potuto lavorare in questa dimensione non scritta e creare giurisprudenza anche alla luce dell’orientamento sovranazionale che ha bacchettato l’Italia per la disparità che impone ai suoi cittadini. Faremo ricorso in Appello”. Quindi applicare la legge significa “irrigidirsi in una interpretazione letterale”. È appena il caso di immaginare cosa potrebbe voler dire la generalizzazione di questo principio, ovvero quello del diritto interpretato in senso non letterale. Ma qualsiasi stravolgimento dello stato di diritto va bene, se ci sono di mezzo certi temi.
Giuliano Lebelli