Home » Ustica, 35 anni senza giustizia

Ustica, 35 anni senza giustizia

by La Redazione
0 commento

Ustica Roma, 29 giu – Oggi sono 35 anni dal disastro aereo di Ustica, meglio conosciuto come “Strage di Ustica“. Circa alle 9 di sera del 27 Giugno 1980 un velivolo civile DC9-15 della società Itavia, sigla I-TIGI, sulla rotta Bologna-Palermo, precipitava nel mar Tirreno causando la morte degli 81 presenti a bordo, fra cui 16 bambini.

E cominciava il più grande mistero dell’aviazione civile di tutti i tempi, che ad oggi ancora non ha trovato soluzione.

Sono stato per cinque anni (1989-1994) consulente tecnico di Repubblica sul caso Ustica (o meglio del cronista giudiziario di punta sulla vicenda, Franco Scottoni). Il mio compito era di fare l’analisi tecnica delle varie perizie giudiziarie che uscivano, delle deposizioni in Commissione Stragi, e della marea di “rivelazioni” che uscivano continuamente ad opera di mitomani o veri e propri “depistatori professionisti” da cui ci si doveva difendere per non squalificare la testata pubblicando baggianate. I giornali seri fanno così.

All’epoca ero già “ex” tecnico dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e titolare di una ditta di una quindicina di persone (quasi tutti giovanissimi) che lavorava per quasi tutti i centri di ricerca nucleare europei e americani, per il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e le Forze Armate italiane (strumenti ottici)

Per cui potei andare al seguito del magistrato in una ricognizione sulla Sila dove era precipitato un Mig23 dell’aviazione libica, e nel 1994 ad una visita nell’hangar Batler di Pratica di Mare (aereoporto militare) in occasione della presentazione della “Perizia Tecnica”, l’ultima indagine affidata a 11 luminari italiani e stranieri specialisti nelle varie discipline, e che concludeva: “bomba nella toilette“. Non mi convinceva per niente!

Il fatto è che le precedenti perizie (Luzzatti, Blasi) avevano concluso la prima “esplosione senza poter determinare se interna (bomba) o esterna (missile)”, e la seconda “missile a guida radar senza poter indicare il tipo e la provenienza”.

Erano documenti che conoscevo quasi a memoria, e che avevano portato a una serie di conoscenze oggettive che confliggevano con la Perizia Tecnica che concludeva “bomba nella toilette”.

Così a luglio 1994 mi recai dal magistrato con un documento di una ventina di pagine dove evidenziavo una serie di elementi di contraddizione con le conoscenze che si davano per acquisite (dati radar, dinamica del disastro). Questo documento fu giudicato interessante e distribuito alle parti, per cui mi fu offerto di diventare C.T. (Consulente Tecnico, comunemente detto “Perito Giudiziario) della compagnia aerea Itavia in seno all’inchiesta (o più precisamente dell’Avv. Aldo Davanzali, azionista di maggioranza e amministratore delegato, nonchè “parte lesa” nell’inchiesta), ruolo che presi da gennaio 1995. È quindi da quel momento potei accedere ai documenti processuali, e chiamato a partecipare al “Supplemento di perizia radaristica” il 10 ottobre 1995.

Dopo un anno di lavoro, il 23 dicembre 1995, depositai una “nota tecnica” divisa in due parti:

– la prima parte contestava la “bomba nella toilette” (così efficacemente che nel 1996 il magistrato la rigettò come “inutilizzabile ai fini processuali” perchè viziata da contraddizioni e incongruenze)

– la seconda parte riprendeva l’ipotesi missile dandogli un solido spessore tecnico basato sull’analisi del relitto e la dinamica del disastro (ottenne un lusinghiero apprezzamento dai tre PM (Salvi, Roselli e Nebbioso), e infine nel 2014 la Corte di Cassazione civile di Palermo sentenziò “Missile”)

Successivamente presentai altre Note Tecniche su analisi del relitto e analisi dei dati radar.

Questa è la storia. Ma quale missile? In quali circostanze?

Le mie conclusioni causarono una serie di reazioni “esagitate” (è dir poco). Invece che contestare dall’alto di titoli, cattedre e argomenti quello che avevo scritto ci furono una serie di episodi tragicomici: periti giudiziari che dichiaravano che non avrebbero letto i miei documenti, espertissimi ingegneri delle maggiori aziende di elettronica militare che mi davano ragione su punti fondamentali (la geometria di attivazione della spoletta di prossimità del missile o il velivolo sconosciuto che faceva guerra elettronica contro il radar di Marsala) ma poi mi davano del “romanziere”, e così via.

Idem sul fronte del missile: il missile dalle caratteristiche che avevo indicato “non esiste”, i buchi delle schegge ritrovati sull’ala sinistra sono “pochi”, la guerra elettronica contro il radar di Marsala sono “fantasiose ipotesi supportate da stravaganti interpretazioni”. Addirittura “forse inconsapevolmente depista le indagini” (detto da uno incriminato per depistaggio…)

Insomma, chiuso il capitolo “bomba nella toilette” non fu possibile andare avanti sul missile, le circostanze e la guerra elettronica (questa spiegava come l’aggressore era arrivato in mezzo al Tirreno senza essere riconosciuto da nessuno)

Per cui anche il processo iniziato nel 2003 si concluse in un nulla di fatto, lasciando l’amaro in bocca a tutti.

Il libro dell’Ing. Goran Lilja

Goran Lilja è un ingegnere svedese, uno degli 11 periti giudiziari italiani e stranieri che conclusero “bomba nella toilette”. Ha pubblicato un libro sulla sua esperienza apparso in Italia a ottobre 2014 (Ustica – Il mistero e la realtà dei fatti) e di cui riporto un passo interessante.

Proprio questo libro che fra gli ex addetti ai lavori ha riacceso qualche polemica mi ha convinto a replicare con un documento che ho pubblicato on line a dicembre 2014, e che vedremo in seguito.

Questo il passo (pag. 118):

Nel 2000 un giornale italiano organizzò un convegno per discutere i tragici eventi e le stragi che erano avvenute il Italia….

Frank Taylor (altro C.T., inglese nda) e io eravamo stati invitati e ci era stato chiesto di presentare i motivi per cui la commissione Misiti era giunta alle proprie conclusioni.

……..

Nel corso del convegno furono anche discusse le relazioni fra l’Italia e la Libia ed enfatizzati gli interessi comuni e la stretta collaborazione nelle attività industriali e commerciali. L’Italia, secondo uno degli oratori che parteciparono al convegno, era pesantemente dipendente, per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, dal gas, in buona parte importato dalla Libia. I presenti si sentirono dire che, in ambito NATO, il termine con cui era definita questa relazione con la Libia era “L’amante segreta”. Questi argomenti sono del tutto fuori della mia competenza, ma confesso che fui portato a pensare che il significato di tutto quel discorso poteva essere: “Nessuno punti il dito contro la Libia”

E il punto è che fin dalla perizia giudiziaria Blasi depositata nel 1987 la Libia è un potenziale responsabile del disastro di Ustica. Le conclusioni erano: “missile a guida radar senza poter indicare il tipo e la provenienza”, e quindi il magistrato dell’epoca chiese un supplemento di perizia per individuare il tipo e la provenienza. Ma a questo punto il collegio peritale si “spacca”, due periti ci ripensano e dicono “bomba”.

Ma era chiarissimo che in base ai dati acquisiti e di cui si sapeva all’epoca il missile in dotazione al Mig 23MF (quello precipitato in Calabria) entrava a pieno titolo fra gli indiziati.

Repubblica

Il disegno su Repubblica

Questo disegno fatto all’inizio della mia collaborazione e pubblicato su Repubblica il 15 Ottobre 1989 chiarisce che in base ad alcuni dati radar e la portata i missili imputabili del disastro erano almeno tre, ma solo quello libico era a guida radar SARH (Semi Active Radar Homing) mentre gli altri due erano a guida IRa (Infrarosso avanzato)

 

Dalla mia analisi sull’ipotesi missile depositata a dicembre 1995, e che si basa su tutta la serie di fattori analizzabili (dati radar, analisi del relitto, fori di scheggia, ritrovamenti in mare, dinamica del disastro etc) la conclusione è:

– missile a guida radar SARH di modesta carica bellica, della classe da “Dogfight” (combattimento aereo fra caccia)

Con queste caratteristiche al mondo ne esisteva uno solo, lo AA2-2 Advanced Atoll SARH che equipaggia i Mig23 MF (la versione per l’esportazione del famoso caccia sovietico, che per l’URSS e i paesi del Patto di Varsavia era dotato di radar e missili molto più performanti)

Ma, come scrive l’Ing. Lilja, “nessuno punti il dito contro la Libia”, per cui quel missile “non esiste”. Pazienza. Avrei dovuto cercare un altro missile politicamente corretto, all’epoca uno americano andava benissimo. Magari tenendone di riserva uno francese, ma anche israeliano, secondo le esigenze della politica.

Però esiste, su Jane’s, monografie, stampa specializzata, fotografie… e a questo punto dovremo dedicare un paragrafo al famoso Mig23 libico ritrovato sulla Sila, vicino la cittadina di Castelsilano, località “Timpa delle Megere” (burrone delle streghe) il 18 luglio 1980, venti giorni dopo il disastro di Ustica.

Il Mig23

Ufficialmente precipita il 18 luglio 1980 (venti giorni dopo) e sulle circostanze indaga una commissione di inchiesta italo-libica, concludendo che l’aereo partito per una esercitazione a causa di un malore del pilota aveva proseguito con il pilota automatico verso la Calabria fino a precipitare per esaurimento del carburante.

In realtà poi si troverà su una agenda del Gen. Santovito (capo del Sismi, all’epoca) un appunto datato 14 luglio dove si autorizzava il capo della CIA in Italia Clarridge a fare una ispezione sul Mig.

Ma anche ad un esame superficiale le cose non tornavano, il Mig23 era stato restituito alla Libia nel 1980 insieme alla salma del pilota ma poi lo ritroviamo in gran parte in un deposito militare a Roma, e infine nello stesso hangar Batler in cui si era ricostruito il relitto del DC9 (non sapevamo dove metterlo, mi risponde uno dei periti giudiziari)

Il punto è che il relitto del Mig23 porta segni di scheggia della testa di guerra (warhead) del missile AIM7 Sparrow, si tratta di una testata denominata “continous rod” e che lascia segni particolari e inconfondibili.

Si poteva pensare che il Mig23 avesse abbattuto il DC9 I-Tigi a Ustica, e poi fosse stato abbattuto a sua volta sopra la Sila mentre si dirigeva verso Malta o verso la Grecia (c’era un aereoporto di appoggio per i Mig libici che andavano a fare manutenzione in Yugoslavia, a Banja Luka)

Invece, leggiamo sulla perizia tecnica sul Mig23, era stato abbattuto a Colleferro, vicino Roma!

In pratica si voleva fare un esperimento: se i metalli sovietici resistevano alle teste di guerra dei missili occidentali (hai visto mai che ‘sti diavoli di comunisti hanno inventato qualche marchingengno…)

Così dalla SNIA BDP di Colleferro (una azienda all’epoca del gruppo FIAT che produce esplosivi) fanno regolare domanda e il relitto del Mig23 (che ufficialmente era stato restituito alla Libia) viene messo in mezzo a un prato e fatta scoppiare una testata di missile Sparrow.

E si verifica finalmente che si, le barre di carburo di tungsteno della testata dello Sparrow squarciano senza problemi i metalli sovietici, tranquillizzando la difesa aerea dell’occidente.

Quindi guai a pensare che il MIG23 sia stato abbattuto sulla Sila, gli si è sparato si, ma a Collefferro!

Ma, da dove era partito?

La Guerra Elettronica

Come ha fatto l’aggressore ad arrivare in mezzo al mar Tirreno senza essere riconosciuto dai radar italiani? Da dove è partito?

Per questo rimando all’analisi sulla guerra elettronica che ho pubblicato a dicembre 2014 in occasione dell’uscita del libro dell’Ing. Lilja.

La questione è trattata esaurientemente in relazione ai dati radar che è stato possibile acquisire nel corso dell’inchiesta.<

http://www.seeninside.net/documenti/ustica_ge_231214.pdf

Qui ci interessa dire che il sistema da guerra elettronica che gli permise di arrivare in mezzo al Tirreno probabilmente glielo abbiamo venduto noi, ce ne è ampia traccia in documenti parlamentari addirittura un anno prima del disastro di Ustica. Ma questo durante l’inchiesta fu giudicato “fantasiose ipotesi supportate da stravaganti interpretazioni.

In realtà l’Italia era all’epoca uno dei pochissimi paesi all‘avanguardia in questo settore, e nel 1980 avevamo già fornito sistemi da guerra elettronica all’Egitto, Iraq, Giordania, Isralele… E alla Libia?

Alla Libia li abbiamo venduti almeno fino al 2009, ma quello che interessa sapere è se glieli avevamo venduti nel 1980. E dove si montavano questi marchingegni sui Mig, e dove si facevano i collaudi, etc. etc.

E’ partito dalla Sardegna? Ci sono indizi robusti in tal senso, come ci sono indizi che sia partito dalla Corsica, delle due una.

Bocche cucitissime, ma a 35 anni dai fatti, con Gheddafi defunto, tutti i protagonisti dell’epoca scomparsi, non si potrebbe aprire questo cassetto?

Che so, un volenteroso che ci lascia un documento post mortem?

Per una più ampia trattazione generale sulla vicenda di Ustica:

http://www.seeninside.net/

Luigi Di Stefano

 

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati