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A scuola di scrittura da Yukio Mishima

by Matteo Fais
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Mishima

Non c’è niente da fare, un grande scrittore ha il dono di essere tale in ogni sua manifestazione e qualsiasi pretesto gli risulta utile per sfornare, se non proprio un capolavoro, almeno un’opera di intrattenimento che sappia distinguersi e lasciare un segno. Questo è certamente il caso di Yukio Mishima che, dato il panorama vagamente desolato e desolante della produzione letteraria occidentale, sta tornando di gran moda, a seguito di tutta una serie di riscoperte, o meglio di suoi lavori che finalmente approdano in traduzione anche in questa parte di mondo. Dopo Vita in vendita, originariamente pubblicato su Playboy Giappone, esce adesso In punta di penna (Feltrinelli).

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di aprile 2023

Il romanzo viene presentato come una serie di «lezioni di scrittura», intorno all’arte del vergare lettere, fornendo non tanto regole standard ma concreti esempi, in cui andare alla ricerca di «modelli di frase o spunti». In anticipo sui tempi e le tendenze oggi imperanti, l’autore giapponese sembra stigmatizzare la presunta utilità delle scuole di scrittura, che forniscono regole sistematizzate per costruire i propri prodotti editoriali, suggerendo come tale abilità si guadagni in modo per così dire induttivo, confrontandosi con casi esemplari, cioè le opere vere e proprie degli scrittori.

Mishima maestro di scrittura

Il testo si risolve in un romanzo di natura epistolare, una sorta di Le relazioni pericolose di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, ambientato in un Giappone in cui, se vanno facendosi largo i moderni mezzi di comunicazione, una certa parte della popolazione resta comunque arroccata nel culto classico dei più antichi strumenti. Come sostiene lo stesso giapponese: «In un’epoca dominata dal telefono, che in alcune città americane trovi addirittura con il video, la lettera continua ad avere una sua efficacia, e in questa segreta stanza di carta accuratamente sigillata chiunque può accomodarsi e iniziare un racconto […] o ancora attaccare un monologo di cinque ore senza preoccuparsi di infastidire nessuno. Lì, proprio come nella camera di un grande albergo, ognuno ha la libertà di lasciarsi andare alla più educata e formale delle conversazioni o alle confidenze che si accompagnano alla notte, al riparo da orecchie indiscrete».

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E così ha inizio la trama che vede come protagonisti Kōri Mamako, signora di 45 anni, vedova, in passato bella, e convertita, dopo una permanenza americana con il marito, a insegnante di inglese. Suo contraltare e coetaneo, Yama Tobio, stilista di moda, grande amico della prima. Vi è poi la coppia più giovane composta da Kara Mitsuko, allieva, con scarsissimo talento per le lingue straniere, della signora Mamako e Honō Takeru, lavoratore per necessità e teatrante per passione. In ultimo si ha la presenza di Maru Toraichi, mina vagante del gruppo, cugino di Mitsuko, terribilmente in sovrappeso, che adora la televisione, colleziona francobolli ed è circondato da diversi amici di penna. Ecco dunque che, successivamente alla presentazione dei personaggi, prende vita un carosello di bassezze, viltà, amori, invidie, gelosie, ammissioni e tranelli da fare invidia alla più vasta e intricata soap opera. E, per quanto il testo non sia esattamente lungo, come riconosce l’autore stesso, «le fila della storia saranno talmente ingarbugliate che sarà difficile districarsi». Ma ciò, in verità, poco importa, perché il lettore non si trova di fronte a una…

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