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Dagli «antemarcia» a Borsellino: i martiri fascisti della lotta alla mafia

by Alberto Micalizzi
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lotta mafia

La costruzione di una comunità passa, normalmente, attraverso la storia e i propri miti, identificandosi negli uomini e nelle donne che hanno lasciato il segno su vicende che hanno contribuito a costruire il percorso di una nazione, patrimonio comune senza distinzione di colore politico. Percorso che, ancora oggi, non trova cittadinanza in Italia dove è invalsa la tendenza, da parte di una certa intellighenzia di sinistra, di azzerare episodi e personaggi non appartenenti alla propria area di riferimento, e di inglobare, all’interno del proprio bagaglio culturale e ideologico, battaglie che, come la lotta alla mafia, in realtà non possono essere ricondotte ad un solo ed esclusivo sistema valoriale. Ebbene, un processo di mistificazione della storia nazionale rischia di rendere monca una storia comune che, proprio perché tale, non può che essere condivisa, al di là delle convinzioni politiche di ognuno di noi.

Militanze dimenticate

Il percorso umano di Paolo Borsellino – membro dell’esecutivo provinciale del Fronte universitario d’azione nazionale (Fuan) a cui si era iscritto nel 1959 e rappresentante studentesco nella lista «Fanalino» di Palermo – è il caso più eclatante, ma non unico, di volontaria omissione, perché rivolta a cancellare una parte della formazione di un magistrato che, anche alla luce delle proprie convinzioni giovanili, aveva scelto di mettersi al servizio della nazione e di lottare contro la mafia, fino al supremo sacrificio della vita.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di giugno 2021

Ma la scia di sangue che ha colpito la comunità non conforme non si arresta, nel periodo repubblicano, solo al magistrato palermitano. Infatti, rimane un mistero la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro: già aderente alla Rsi nella X Mas, corrispondente del Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e L’Ora, venne probabilmente eliminato per le sue indagini sulla morte di Enrico Mattei, presidente dell’Eni. Così come rimane nell’ombra l’omicidio di Beppe Alfano (già iscritto al Fronte della gioventù e successivamente a Ordine nuovo e al Msi-Dn), giustiziato l’8 gennaio 1993 con tre colpi di pistola per le sue inchieste sugli appalti pubblici inquinati da Cosa nostra nella provincia di Messina.

Il fascismo e la lotta alla mafia

È proprio nell’ambito della lotta alla mafia che altri siciliani sono stati volontariamente «dimenticati», se non ostracizzati, in quanto non solo colpevoli di non appartenere alle categorie di pensiero dominante ma, soprattutto, direttamente riconducibili al Ventennio. Questa appare una scelta pervicacemente voluta e perseguita nel lungo dopoguerra e sbandierata ancora oggi. A dimostrazione della presunta superiorità intellettuale di una parte politica che si è resa vincente soltanto per aver fatto proprio, gramscianamente, il settore della cultura, egemonizzando le principali case editrici e gli organi di stampa, così come la scuola e le università, e condannando all’invisibilità quel passato che non poteva e voleva conformarsi al suo linguaggio e ai suoi valori.

Leggi anche: Il fascismo e la lotta alla mafia (parti 1, 2, 3)

Così è stato, ad esempio, per Mariano De Caro, nato nel 1896 a Misilmeri in Sicilia. Diplomatosi ragioniere presso la Real Scuola tecnica «Gagini» di Palermo e quindi studente universitario, partecipa, come tiratore scelto, al primo conflitto mondiale con l’85° Reggimento fanteria di Trapani per essere successivamente inviato – dopo la frequenza dell’11° corso per allievi ufficiali – a Feltre, con grado di sottotenente.

Maturate le prime convinzioni nell’ambiente nazionalistico, Mariano De Caro si avvicina ben presto ai Fasci di combattimento che, faticosamente, lottavano per affermarsi nella sua terra d’origine. Al contempo, con altri ex combattenti, fonda il Circolo degli studenti (di cui diviene presidente), nel tentativo di alimentare il sentimento di riscossa tra i braccianti e i salariati delle campagne di Misilmeri, ancora oppresse dalla secolare coltre di paura e da una economia di stampo latifondistico che arricchiva soltanto i pochi notabili proprietari delle terre. L’azione di ribellione portò ben presto il De Caro ad essere oggetto delle attenzioni dei malavitosi locali, preoccupati che…

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