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Carl Schmitt, ovvero come tornare sovrani nello «stato d’eccezione»

by Filippo Mercuri
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Roma, 15 ago – Sono ormai passati quasi due anni da quando si è affermato quello che il giurista tedesco Carl Schmitt definirebbe «stato d’eccezione». Con questo concetto ci si riferisce a ciò che è contrario al normale stato di diritto. In questa sede ci concentreremo sui due testi fondativi del pensiero di Schmitt – Teologia politica e Il concetto del politico – che ci permetteranno di avere una visione della politica tesa a combattere l’eccezione e affermare su quello che è lo «stato totale per debolezza» lo «stato totale per energia».

Teologia politica: lo «stato d’eccezione» schmittiano

In questa opera del 1922 Schmitt riconosce che l’ordine politico moderno, che è diverso da quello giuridico, non ha più un fondamento trascendente come in passato, nell’epoca della morte di Dio.

Nell’epoca dello stato totale quale semplice macchina burocratica e meccanica deve estrinsecarsi una lotta sui valori dalla quale devono emergere le persone. Il requisito dell’ordine è dunque la volontà affermativa intesa come capacità di imporsi. Una vera e propria volontà di potenza. È nel conflitto che va riconosciuta la nuova base dell’ordine normativo perché ci può essere ordine solo combattendo il disordine. Ne consegue una nuova definizione del sovrano, che diventa colui che decide sullo stato d’eccezione dando vita a un nuovo ordine.

Carl Schmitt sostiene una democrazia plebiscitaria anti-liberale, il che ci fa pensare a una democrazia diversa da quella cui siamo abituati a pensare perché priva delle corruzioni tipiche del liberalismo borghese. Gli studi sul tema del governo proseguono nel 1928 con La dottrina della costituzione dove sono posti in essere i due concetti apparentemente identici di legalità e legittimità. Legalità sta a significare il rispetto delle leggi, che coincide con l’essenza del potere liberale. Legittimità deriva unicamente dalle decisioni prese nello stato d’eccezione.

La distinzione amico/nemico

Il secondo testo che trattiamo, forse l’opera più celebre di Schmitt datata 1932, studia il «politico» da un punto di vista pratico. Posto che la sovranità va riconosciuta nello Stato e che oggi Stato e società sono compenetranti – dunque lo Stato è totale – tutto diventa potenzialmente politico. Questo «politico» non coincide però lo Stato, ma definisce la distinzione originaria amico/nemico da cogliere nella sua massima intensità. È quel raggruppamento umano che è orientato al «caso critico». Si parla dunque di una distinzione autonoma da tutte le altre, valida di per sé, da prendere in senso polemico. Come tutti i concetti politici.

Schmitt si riferisce al concetto di nemico nel suo significato più concreto definendolo come segue: «Nemico è solo un insieme di uomini che combatte almeno virtualmente, cioè in base a una possibilità reale, e che si contrappone ad un altro raggruppamento umano dello stesso genere». Si legge più avanti: «I concetti di amico, nemico e lotta acquistano il loro significato reale dal fatto che si riferiscono in modo specifico alla possibilità reale dell’uccisione fisica». Dunque «proprio il caso d’eccezione ha un’importanza particolarmente decisiva».

Va evidenziato che Schmitt non vede la guerra come qualcosa di quotidiano o di desiderabile. Comunque come una possibilità reale, al fine di mantenere la natura polemica che caratterizza il concetto di nemico. Inoltre il concetto di nemico non ha significato nella sua eliminazione ma «nella misurazione della sua forza, nella difesa da esso e nella conquista di un confine comune».

Carl Schmitt risulta un intellettuale che suscita interesse per aver portato avanti un nichilismo attivo. Teso cioé a superare il relativismo materialista della sua epoca con una concezione «dal di dentro» nello Stato. La strada che segue è dunque parallela a quella di Jünger, che ragionò «dal di fuori» su una via di fuga aristocratica dallo Stato che deve compiersi nel «bosco». Due menti importanti da non dimenticare ma da unire al fine di essere in grado di determinare il nostro presente. Dunque il nostro futuro.

Filippo Mercuri

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