Roma, 13 feb – Alea iacta est. Celeberrima locuzione latina utilizzata ancora oggi in sede di una decisione non ritrattabile. Attribuibile secondo Svetonio, storico e biografo, a Caio Giulio Cesare, che avrebbe pronunciato le suddette parole nell’atto di attraversare il fiume Rubicone. L’allora sacro confine tra l’Impero Romano e la Gallia Cisalpina.
E proprio riguardo a questo famosissimo episodio, nei mesi scorsi è uscita nelle cronache romagnole una notizia che non ha avuto il meritato risalto nei media nazionali: una squadra di archeologi avrebbe con molta probabilità localizzato il campo che ospitò il condottiero romano la notte prima di guidare le sue legioni oltre il fiume romagnolo. La scoperta ha grandissima importanza storica. Stiamo infatti parlando di un personaggio tra i più influenti di sempre e di una pagina fondamentale nella storia dell’Urbe.
Il contesto storico
Siamo negli anni in cui, anche “grazie” alla volontà del Senato, si andava esaurendo l’influenza del primo triumvirato. Accordo privato stipulato nel 60 a.C. tra Crasso, l’uomo più ricco di Roma, Pompeo, conservatore e prestigioso comandante militare e Cesare, il quale con grande abilità diplomatica fece superare le divergenze dei primi due. Riuscendo ad assicurarsi un decennio di importanti successi politici.
Dopo la morte di Crasso il triumvirato si incrina ma la rottura vera e propria è datata 50 a.C., quando Pompeo, in seguito a quanto deciso dal senato, ritira due legioni “prestate” 3 anni prima al proconsole della Gallia – ufficialmente per proteggere la provincia siriana – ma facendole stanziare a Capua. Da diverso tempo Cesare combatteva anche contro le ostilità che i senatori lui riservavano. Disparità di trattamento evidente rispetto a Pompeo circa l’amministrazione di province e soldati. Propenso quindi a pensare che le legioni a lui sottratte andassero piuttosto a rinforzare le fila di Pompeo, capisce che l’unica soluzione attuabile sia il conflitto armato.
Cesare passa il Rubicone
In attesa di rinforzi dalla Francia si stabilisce così nei pressi di Ravenna seguito dalla Legio XIII. Si susseguono varie vicende prettamente politiche e diplomatiche che lo vedono contrapporsi ai senatori e allo stesso Pompeo, con il quale ormai i rapporti sono definitivamente deteriorati.
Il 7 gennaio 49 a.C. arriva l’ultimatum del Senato, forte dell’appoggio di Pompeo e del suo esercito formato da dieci legioni, nel quale si impone a Cesare di restituire il comando militare. A nord del Rubicone intanto, come descritto nel “de bello civii”, i soldati della Legio XIII, che per nove lunghi anni hanno prestato servizio in Gallia e in Germania, sono pronti a difendere il proprio generale e a vendicare le offese subite. La mattina del 10 gennaio, il passaggio in direzione Rimini, operato dalle legione cesariana, è quindi la causa della penultima guerra civile (49-45 a.C.) che verrà successivamente combattuta anche in territorio francese, spagnolo, greco, egizio, turco e tunisino, e risolta a favore di Cesare.
In risposta all’ingiustizia subita, egli aveva ufficialmente dichiarato guerra al Senato, diventando nemico della res publica romana. Iniziò così la sua discesa verso Sud lungo il litorale adriatico. Il novello nemico, in seguito all’assedio di Corfino, anticipa il Re di qualche secolo e si mette in fuga verso Brindisi. Fu l’inizio della fine della repubblica, il cui epilogo è riconducibile alla battaglia navale di Azio (31 a.C.), ultimo atto della guerra civile combattuta tra Ottaviano e Marco Antonio.
Un significativo ritrovamento
Torniamo ora al significativo ritrovamento archeologico del campo di Cesare al Rubicone. L’area in questione si trova nel comune di Gatteo (FC), a una manciata di km dalla Via Emilia. L’operazione, della durata di due anni, prese il via in seno al progetto di potenziamento della rete stradale circostante al locale casello A14 “Valle del Rubicone”. Il cantiere nel quale sono stati effettuati gli scavi ha portato alla luce uno degli insediamenti militari più longevi di tutta la romanità (dal III secolo a.C. al VI secolo d.C.).
Nucleo di sepolture villanoviane. Sei tombe a cremazione, databili tra VIII e il VII secolo a.C. comprensive di corredi con materiali in ambra, bronzo, ceramica ma anche legno. Trattasi di sepolture sia maschili (riconoscibili dalle armi: punte di lancia in ferro e bronzo) sia femminili (qui troviamo fibule, orecchini e cinturoni). Ritrovato anche un arredo ligneo, si suppone un piccolo trono.
Villaggio protostorico. Abitato adiacente al complesso funerario, di cui si ipotizza che l’estensione originaria fosse di 15mila mq, riconducibile all’età del ferro (VIII – VI secolo a.C.). Tracce di strutture abitative, capanne sub-rettangolari o circolari, con relativi resti di attività lavorative circa filati, vasellame ceramica, lavorazione delle pelli. In riferimento a quest’ultima attività, sembra proprio il villaggio fosse specializzato nel conciario, in quanto gli archeologi fanno riferimento a pozzi e vasche per l’immersione e l’affumicatura.
Tra vita quotidiana e insediamenti militari
Accampamento romano. Strutture a pianta rettangolare e poligonale su pali lignei, presumibilmente caserme, una con vano absidato che conferma la presenza di generali. Interessante il ritrovamento di una fibula in ferro, modello in dotazione all’esercito romano. Si stima che l’area militare occupasse circa 30 ettari di terreno ove si trovavano lunghe recinzioni (una palizzata lunga circa 150 m), apparati difensivi, latrine, edifici residenziali e dirigenziali. I ritrovamenti di coppe, bicchieri e anfore si collegano all’assunzione del vino. Quelli di borchiette in bronzo, lamelle per corazze e chiodini in ferro per calzari all’uso militare della zona. Anche la qualità del vasellame è riconducibile a generali dell’esercito o comunque del personale dirigenziale. Ritrovate anche tracce di attività artigiane, a cui erano dediti gli uomini, e tessili, peculiarità femminile.
Rilevata infine l’antica rete viaria, congiunzione tra la vicina costa con le zone più interne, a partire dall’area del Compito (Compitum), crocevia appunto tra l’antica strada consolare che collegava Rimini (Ariminum) a Piacenza (Placentia) e la via che dagli Appennini scendeva al mare.
L’attuale giunta comunale sta pensando di progettare un parco archeologico a tema, in modo da mettere a disposizione di cittadini e appassionati il prezioso patrimonio trovato.
Cesare passò davvero il Rubicone? La parola fine sul “campanilismo fluviale”
Sappiamo con certezza che per i nostri antenati il Rubicone varcato da Cesare era il fiume che scorreva tra Cesena e Rimini. Se sul versante riminese c’è chi ancora sostiene la tesi che esso sia in realtà l’Uso, la cui sorgente è sul monte Perticara e la foce a Bellaria Igea-Marina. Il rinvenimento metterebbe invece la parola fine alla secolare e campanilistica diatriba tra i due più realistici contendenti. Vale a dire il Fiumicino (attuale Rubicone) e il Pisciatello (Urgòn in dialetto). Entrambi i fiumi nascono in località Strigara e scendono a valle parallelamente, il Fiumicino/Rubicone più a Sud rispetto al Pisciatello/Urgòn. Quest’ultimo confluisce nel torrente Rigossa, a sua volta affluente del Fiumicino/Rubicone, il quale sfocia in località Gatteo Mare.
Pur consapevoli che il letto del leggendario corso fluviale possa non corrispondere appieno con nessuno degli attuali tre contendenti, per motivi puramente geografici, il “litigante” più accreditato sembra essere proprio “il fu” Fiumicino. Cesare mosse infatti da Nord verso Sud: dal ritrovato accampamento l’Urgon si trova in direzione opposta. L’identificazione del corso d’acqua effettivamente attraversato confermerebbe quindi la decisione presa nel 1933 dallo stesso Mussolini. Possiamo finalmente dirlo: il dado è tratto!
Marco Battistini