Home » C’era una volta una sottocultura tutta italiana: i paninari

C’era una volta una sottocultura tutta italiana: i paninari

by La Redazione
3 comments
paninari, milano

Milano, 18 feb – Quando parliamo delle cosiddette sottoculture giovanili (anche se ormai sono molto poco giovanili, visto che la Generazione Z sembra in gran parte interessata solo a tutto ciò che è mainstream) solitamente pensiamo ad un qualcosa che nasce nel mondo anglosassone (Regno Unito o Stati Uniti), per poi diffondersi un po’ ovunque. Eppure in Italia abbiamo avuto una sottocultura, spesso a torto bistrattata, che ha influenzato non soltanto la nostra nazione, ma anche tutta l’Europa. Stiamo parlando dei Paninari.

I Paninari, dai bar alle gradinate

È notizia recente la chiusura dello storico McDonald’s di piazza San Babila, che aprì le sue porte nel 1981 come Burghy. Lì i Paninari avevano trovato la loro casa, un angolo di America nel cuore della Milano che fino a poco prima era stato terreno di scontro tra le opposte fazioni politiche. E proprio in quella San Babila che era stata la casa milanese dei giovani camerati più movimentisti. In realtà i Paninari nacquero poche centinaia di metri più in là, in via Agnello davanti alle vetrine del bar Al Panino, ma nell’immaginario collettivo San Babila e il Burghy resteranno per sempre come la casa madre del movimento.

I Paninari erano ossessionati dal look e dalla moda, per questo marchi come Monclair, Stone Island, Armani, Levi’s, Timberland, El Charro, Best Company etc. ebbero un largo successo in quegli anni. A partire dalla metà del decennio una parte degli adepti della sottocultura virò politicamente a destra, anche se spesso più nel look da strada piuttosto che per reale appartenenza ideologica. Sulle gradinate i Paninari erano molto rappresentati nella Curva Nord dell’Inter tra le file dei Boys San (e successivamente alcuni Paninari saranno presenti nel gruppo originale degli Skins), nella tifoseria del Milan tra i Commandos Tigre, nella Curva Nord della Lazio e tra le Brigate Gialloblu del Verona (città dove si facevano chiamare Bondolari; da bondola, il nome locale della mortadella), oltre che in moltissime altre tifoserie, anche se in numeri non così elevati. Il look paninaro infatti resterà sempre legato nell’immaginario collettivo a Milano, al Nord Est e a Roma, riuscendo solo a scalfire il resto della Penisola, dove si diffuse grazie alla tv e ai giornali quando in realtà l’essenza del fenomeno si stava già spegnendo.

Grazie alle trasferte calcistiche europee di quel periodo di molte tifoserie britanniche la gioventù d’Albione rimase molto affascinata dallo stile Paninaro, tanto da portarlo in UK, dove venne assimilato, con più consapevolezza, dai Casuals.

Da Milano a Londra

“Now you’ve gone, I’m all alone
My heart is broken and I don’t wanna go home
You know it’s all over, you’re out of luck
You feel so low you wanna self-destruct”.
Pet Shop Boys – Paninaro

I Paninari erano talmente celebri che nel 1986 la famosa pop band inglese dei Pet Shop Boys compose la canzone “Paninaro”, girando il video proprio a Milano. Una nuova versione della stessa venne data alle stampe nel 1995, con il titolo di ”Paninaro ’95”. Pet Shop Boys che, tra l’altro, torneranno ad esibirsi in Italia il prossimo 13 giugno a Roma.

Purtroppo a livello di produzione culturale è stato realizzato poco o nulla, vuoi perché il fenomeno durò relativamente poco e, quando divenne nazional popolare, ne vennero messi in risalto praticamente solo gli aspetti più caricaturali. Pensiamo quindi al personaggio del Paninaro di Enzo Braschi al Drive In, con il suo tormentone “Troppo giusto!”, al romanzo e poi film Sposerò Simon Le Bon (i Duran Duran, altra passione dei Paninari) e alla pellicola trash Italian Fast Food. Tutti tentativi di cavalcare l’onda di un momento che in realtà era già cambiato una volta inghiottito dal calderone mediatico.

Paradossalmente sarà in Inghilterra che la nostra sottocultura continuerà a sopravvivere fino ai giorni nostri: l’abbigliamento a tema e le magliette dedicate al periodo si sprecano e, addirittura, una rivista dedicata a moda, musica e Terrace Culture si chiama proprio “Paninaro”.

Mai seriosi

Però non è tutto assolutamente da buttare nemmeno da noi, anzi. Dietro quell’apparente leggerezza e quel menefreghismo per il lato serioso dell’esistenza si nascondeva una voglia, consapevole o meno, di gridare al mondo che i giovani potevano dire la loro anche senza necessariamente avere la pretesa di cambiare il mondo o forse volevano sì cambiarlo, ma a partire da loro stessi e dalla propria comunità di partenza. E spesso quei giovani, dismessi i panni del Paninaro, hanno intrapreso altre strade. Ma questa è un’altra storia, che magari tratteremo prossimamente.

Roberto Johnny Bresso

You may also like

3 comments

leonardofaccobeffatore 18 Febbraio 2023 - 6:39

Paninari? Una compilation di schiaffazzi, altrochè balle.
Troppo scarsi. Wild boys… wild boys…

Reply
fabio crociato 18 Febbraio 2023 - 7:23

Per favore… era già quasi tutto in merda prima dei paninari. Figuratevi dopo.
Riflette sulla causa… oggi ultra-debordante e non più negabile da parte di nessuno.
Salvo tossici infami !!

Reply
brutta ciao 18 Febbraio 2023 - 8:49

Paninari… un nome… un programma consumista verso la peggiore specie. Utili idioti.

Reply

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati