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Eroi dimenticati: Adolfo Gregoretti. Fulgido esempio di sacrificio a difesa del Mediterraneo

by Tommaso Lunardi
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Roma, 23 feb – Con la vicenda di Enea Picchio abbiamo già avuto modo di analizzare la storia della “via della morte”, l’attuale canale di Sicilia, il crocevia principale per le truppe dell’Asse in Nord Africa. Inutile dire che il mare inghiottì tra i suoi flutti moltissimi valorosi soldati. Le mine inglesi incrementavano il numero di questi caduti.

Una vita in mare

Adolfo Gregoretti nacque a Massa Carrara il 25 febbraio 1915 da Giuseppe e Lea. La sua fu un’infanzia segnata dalla fatica e dagli stenti dati i drammatici esiti che la “vittoria mutilata” aveva portato in Italia. Per questo motivo, Gregoretti decise di trovare fortuna arruolandosi.

Nel 1932 entrò come allievo all’Accademia Navale di Livorno che frequentò per quattro anni quando ottenne la nomina a guardiamarina. Nel 1937, appena un anno dopo aver terminato l’Accademia, ottenne la promozione a sottotenente di vascello e venne affidato all’incrociatore pesante Fiume. Nel periodo immediatamente precedente allo scoppio delle ostilità, Gregoretti frequentò il corso per Direttore di Tiro.

L’affondamento dell’Alberto di Giussano

Dimostrate grandi abilità nell’arte della navigazione e della guerra marina, Adolfo Gregoretti venne spostato sull’incrociatore Alberto di Giussano. Il compito dell’incrociatore era quello di difendere il Mediterraneo. La sua struttura era molto fragile in quanto si cercava di puntare più sulla velocità e sulla potenza di fuoco. Il 12 dicembre la nave venne affondata assieme all’altra gemella, l’Alberico da Balbiano, proprio mentre stavano per rifornire le truppe in Libia. Durante il tragitto la Royal Navy intercettò le comunicazioni e la rotta delle due navi e le affondò. Gregoretti era presente sul di Giussano e venne tratto in salvo ma quello che raccontò fu terribile. La nave italiana riuscì a danneggiare una delle navi inglesi. Tuttavia, un colpo nemico fece incendiare il serbatoio che riversò molto carburante in mare. L’incendio non interessò solo la nave ma tutta la zona circostante. I soldati che si gettarono in acqua in cerca di rifugio morirono bruciati.

In questa occasione Gregoretti venne decorato con la medaglia di bronzo al valor militare in quanto “Imbarcato su un incrociatore impegnato in uno scontro notturno, dava prova durante il combattimento di serenità e coraggio. All’ordine di abbandonare la nave gravemente colpita, si prodigava per disciplinare il salvataggio del personale e, dalla zattera, ripetutamente si lanciava in mare per soccorrere i bisognosi, dimostrando elevato senso di abnegazione e altruismo”.

La morte sul Malocello

Dopo essere stato posto come direttore di tiro della nave da guerra Roma, Gregoretti venne promosso tenente di vascello e si imbarcò sul cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello. Il 23 marzo 1943, la nave partì da Pozzuoli assieme al Camicia Nera e al Pancaldo; il loro compito era di trasportare truppe tedesche in Nord Africa lungo la famigerata “via della morte”. Gli inglesi riuscirono a prevalere e, ancora una volta, disseminarono la strada di mine.

Il Malocello ne urtò una in un punto critico. La nave si spezzò pericolosamente in due. Molto devoto al suo fedele equipaggio, Adolfo Gregoretti mise in salvo quanti più colleghi e amici possibile finché, giunto il suo turno, non cedette all’egoismo nemmeno di fronte alla morte e consegnò la sua cintura di salvataggio ad un compagno che non ce l’aveva. Gregoretti affondò con il Malocello.

In suo onore gli venne concessa la medaglia d’oro al valor militare con su incise queste parole: “Direttore del Tiro di cacciatorpediniere irrimediabilmente colpito da offesa subacquea, si prodigava con calma e perizia nelle operazioni di abbandono della Nave. Nel nobile intento di assistere i propri marinai si calava coraggiosamente in locali allagati ed invasi dal vapore, portando in salvo personale ferito. Distrutti i documenti segreti e le carte nautiche, dimentico di sé, si dedicava al salvataggio della gente, reso difficoltoso dall’infuriare del mare, e generosamente passava la propria cintura di salvataggio a marinaio che ne era sprovvisto. Nell’imminenza dell’affondamento, rifiutava di abbandonare il proprio posto prima di avere la certezza che tutto l’equipaggio lo avesse preceduto e spariva con la Nave tenendo fede fino all’ultimo all’ideale che aveva costantemente animato la sua vita di uomo d’arme e di mare, quello di essere sempre il primo nel dovere e nel sacrificio”.

Tommaso Lunardi

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