Roma, 18 apr – Il Grand Tour era un viaggio che i nobili rampolli di tutte Europa praticavano alla scoperta delle bellezze naturali e storiche d’Italia. Ma questa pratica era molto di più che una semplice “gita” lunga mesi. Per alcuni di questi, come Carlo Montanari, il Grand Tour divenne un modo per riscoprire se stessi, per conoscere la Patria ed abbracciare la rivoluzione.
In viaggio alla scoperta del Risorgimento
Verona è la città dell’amore, certo, ma di un amore passionale, attivo, pronto all’azione. Un amante, quello veronese, dal cuore di velluto ma dal pugno di ferro. Quello che era, insomma, anche Carlo Montanari. Il giovane era uno studente veronese “fuori sede”, se volessimo usare un termine moderno. Era appassionato, infatti, di architettura, materia che studiò a Padova per alcuni anni. Iniziò, dopo la laurea, un lungo viaggio alla riscoperta di quella che era stata l’Italia. Nei suoi scritti, si può notare come non solo Carlo Montanari sia affascinato da queste opere ma come sia necessario che l’Italia trovi un’unità culturale il prima possibile, prima che tutte quelle opere svaniscano sotto i colpi del tempo.
Tornato a Verona, si rese conto di come la sua città fosse sì una roccaforte del dominio asburgico che, tutto sommato, manteneva intatta anche la sua venetica tradizione, ma anche di quanto fosse chiusa in questa stessa mentalità. Montanari, pertanto, divenne un grande filantropo ed investì denaro e sforzi affinché la rivoluzione tecnologica e scientifica arrivasse anche nella provincia di Verona ed in tutto il Veneto.
La morte per la libertà
Era inevitabile che il sentimento risorgimentale di Montanari andasse a cozzare con la dilagante azione mazziniana in tutto il Veneto, tranne che a Verona dove non ci fu mai un vero e proprio gruppo rivoluzionario. I risorgimentali veronesi agivano come “supporto” ai moti più importanti tra i quali quelli di Venezia, Padova ed, infine, Mantova.
Proprio a Mantova, Carlo Montanari partecipò per liberare la cittadina dal dominio asburgico. Montanari venne catturato e, dopo aver letto alcuni suoi scritti nel quale dichiarava che: “Io non posso negare ch’io ami e abbia amato l’indipendenza dell’Italia”, venne impiccato a Belfiore il 12 febbraio 1853.
Tommaso Lunardi
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