Roma, 28 nov – Riprendiamo una intervista a Flavio Nardi pubblicata sul mensile Zentropa. Fondatore dell’etichetta discografica Rupe Tarpea, da oltre vent’anni Flavio Nardi è uno dei punti di riferimento culturali del mondo non conforme italiano.
Come è nata l’idea di Rupe Tarpea? Qual era “l’esigenza”?
Rupe Tarpea è nata un po’ per passione ed un po’ come compito, quasi una missione… Nel cosiddetto “nostro ambiente” vi erano e vi sono grossi buchi, carenze e disattenzioni su molti aspetti fondamentali del concepire una visione organica del mondo e delle cose e la disattenzione al mondo dell’arte e della cultura è forse una delle più clamorose: quello che c’è, e comunque non è proprio zero, è ed è sempre stato demandato all’iniziativa individuale. Rupe Tarpea è nata, prima come situazione che come etichetta, la maturazione di una esigenza di dare un po’ di struttura e continuità ad una ricerca in campo musicale, per costituire una base ed un riferimento… Nata come situazione in quanto sorta dalle ceneri di una esperienza simile che si chiamava DART di cui ha raccolto le energie e la progettualità. Diciamo quindi che quello che era l’ambiente musicale romano di rock oggi diremmo “non conforme” ha fatto da ossatura all’iniziativa… in quegli anni parliamo degli Intolleranza e dei progetti che ne derivarono, degli Janus, fondamentalmente una eredità ideale, di Francesco Mancinelli e di li a breve Massimo Morsello ci avrebbe onorato della sua arte e del suo carisma.
Quale era il terreno culturale e politico che si calpestava in quegli anni e quali sono le differenze che riscontri tra ieri e oggi?
Io iniziai a muovermi in questo terreno nel 1987, ed allora a Roma c’era praticamente il deserto. Un diffuso disinteresse per le cose musicali e per le potenzialità anche politiche del mezzo musica si accompagnava ad un culto carbonaro per le vecchie canzoni di musica alternativa. La politica emanava vecchiezza da tutti i pori. Tutta la società in quegli anni che precedettero la caduta del muro di Berlino sembrava quasi congelata in una eterna ripetizione. Era quasi stare in una sorta di museo, un noioso museo. Tutta l’elaborazione che facemmo come Dart, ovvero il tema della musica come potenziale media politico, l’attenzione alle sottoculture, l’esigenza di costruire strutture e di punti di riferimento, faticò non poco a fare breccia. La svolta venne con Intolleranza che mostrò fisicamente una visione alternativa, la possibilità di disegnare nuovi immaginari, anche se certo tutto il portato che ne derivò non era esente da difetti e problematiche… ma era un percorso. Da allora di strada se ne è fatta tanta, e con Rupe Tarpea una parte di questi discorsi si è poi realizzata fisicamente, sia in termini di creazione di strutture sia sulla questione sostanziale della ricerca delle forme. Devo dire che più si va avanti con i nuovi mezzi di comunicazione che si sono imposti ormai come la normalità e più vedo la difficoltà delle nuove generazioni ad esprimere percorsi nuovi, a inventarsi e fare cose, a dire la propria… sembra che veramente il mondo di internet sia il mondo delle macchine e che il fattore umano sia diventato ormai una specie di scomodità, un fastidio di cui fare a meno… Chi continua a fare cose sono in gran parte i quarantenni ed i cinquantenni che vengono da quelle vecchie esperienze, da quell’età della pietra analogica che però aveva tutta una altra autenticità… è semplicemente terribile! Possiamo dire senza essere inutilmente nostalgici, che venti, trenta anni fa non solo c’era molta più fantasia e creatività, ma si era quasi spontaneamente portati ad inventarsi le cose semplicemente perché spesso non c’erano. Il mondo semplicemente era reale. Oggi tutto è ridotto ad un continuo flusso digitale in cui siamo totalmente immersi che apparentemente assolve a tutti i bisogni, ma che in realtà è una gigantesca truffa, un furto delle nostre essenze più profonde, un appiattimento ed un impoverimento universale.
Cosa cercano i giovani del 2020, ammesso che ricerchino qualcosa e che non siano invece sdraiati sotto lo tsunami di offerte una più livellante e noiosa dell’altra?
Questa è una domanda fondamentale. Il distacco generazionale tipico di ogni età non credo sia mai stato così grande come quello tra i cosiddetti millennials e noi analogici. Le trasformazioni che si susseguono a velocità impressionante stanno spogliando l’umanità di ogni vero desiderio di innalzarsi, di crescere, di migliorarsi. Non c’è più la cultura della cosa fisica, dell’oggetto come avatar di significato, tutto è ridotto a flusso, a dato digitale, in una tempesta infinita di immagini che diventano subito vecchie, noiose, che porta perennemente alla ricerca del fantasma della novità. È un meccanismo diabolico, per cui non ci si sofferma più a studiare le cose, a considerarne l’essenza. È un processo che va di pari passo con le accelerazioni politiche tese alla distruzione delle identità, delle forme, alla cancellazione del passato e della memoria. I giovani che nascono in questo tempo sono molto sfortunati, nascono nel mondo dello sradicamento assoluto, hanno difficoltà a concepire una appartenenza profonda, a riconoscersi in un qualche percorso, per non parlare del mettersi alla ricerca di quanto celato dalla terribile parola “destino”. Una volatilità assoluta di senso che tocca tutto. Io vedo molto vuoto, molto stordimento, molta perdita di senso nelle nuove generazioni… E che sappiano relazionarsi meglio al mondo delle macchine, anzi che siano stati costruiti ingegneristicamente per questo, non mi rassicura affatto, anzi…
Come ha influito internet sul mondo della musica non conforme? Sei tra i nostalgici della cassetta e del vinile o tutto sommato app come spotify (censura permettendo) hanno permesso una maggiore diffusione dei nostri suoni e dei nostri contenuti?
Direi che il discorso va prima inquadrato complessivamente… la nuova società sta sostituendo le nazioni con le multinazionali hi tech, per cui dopo un periodo relativamente lungo, diciamo i primi venti anni del millennio, in cui ci è stato proposto con una logica da pusher un internet drogato, con una falsa illusione di libertà di parola e di espressione, si va rapidamente mostrando il vero volto di questo ingranaggio infernale, e si sta arrivando a forme di restrizione del pensiero sempre più nette ed evidenti, usando la clava del linguaggio e del politicamente corretto, i nuovi strumenti della psicopolizia. Per cui, per venire alla risposta, si, internet ci ha certamente dato grandi opportunità, e nel nostro specifico ci fatto conoscere come etichetta, ma vedo che i campi si vanno velocemente restringendo un po’ per tutto ed in forme anche viscide e striscianti. Internet resta in buona sostanza un frutto avvelenato. Perché fondamentalmente è un frutto gestito dal nemico. O ci diamo un po’ tutti da fare per uscire da questo vincolo di dipendenza dai social, dalla piattaforme etc invertendo questa condizione di sudditi ed iniziando a diventare attori protagonisti, facendo quindi nostre piattaforme, nostri portali e via dicendo o saremo sempre in balia di queste nuove mostruose entità. Se il quadro è questo la difesa dei supporti fisici quali essi siano, diventa un elemento fondamentale. Perché non ce li possono togliere, perché diventeranno l’equivalente dei libri umani di “Fahrenheit 451”. E la difesa dei supporti fisici è comunque culturalmente imprescindibile… il disco fisico sta ai file digitali come il libro sta al pdf: ci parla, è memoria, è vita, è persistenza. È il tamburo che non si scorda.
Un mondo senza assembramenti e senza concerti, sembra essersi realizzato in questa dittatura ormai quasi post Covid; l’alienazione che ne deriva e la tentazione di isolarsi sono fortissime; cosa fare per riappropriarsi del palco e della fossa?
Beh questa cosa del Covid sembra fatta apposta per consegnarci un mondo dove ciò che rimaneva delle poche libertà reali viene spazzato letteralmente via… le conseguenze soprattutto psicologiche della dittatura sanitaria sono devastanti: paura, asservimento, distruzione del tessuto sociale… ribellarsi a tutto questo è sacrosanto e doveroso… l’imperativo è chiaro, le forme di questa ribellione, il come farlo , lo è molto meno… probabilmente bisogna iniziare da un livello mentale, con il rifiuto sostanziale della situazione e la diffusione di una diversa consapevolezza. Certo è che quando ci si preannuncia una situazione semi permanente di emergenza per i prossimi anni credo che bisognerà fare sentire forte la voce del NO a tutto questo… Penso sia necessario un segno importante di rifiuto generale di questa situazione, ma sono scettico…
Cosa ne pensi delle sottoculture? Punk, skin, mods, metallari, darkettoni, sono ormai un lontano ricordo? Ci mancano oppure no? Erano in fin dei conti delle sacche di resistenza accanite contro il rullo compressore della globalizzazione che tutto appiattisce?
Quella che noi chiamiamo scena non conforme, che probabilmente è a sua volta una forma di sottocultura, deve non poco al mondo delle sottoculture, specie al punk che a noi è venuto filtrato dall’oi, ma anche al metal e al neofolk… Quello delle sottoculture è stato un mondo vitale e colorato che profumava della promessa della differenza e che oramai si è andato restringendo ed esaurendo, un mondo che nasceva appunto in un altro millennio… allo stato attuale quelle piccole scene mancano si, come mancano tante cose del mondo analogico…
Come sta andando il voluminoso e bellissimo tomo dedicato ai primi vent’anni di ZZA? Che idea strana e avvincente stampare un libro musicale nel 2020!
Il libro è stata una vera impresa che sono contento di avere affrontato. È un po’ avere messo un punto fermo su quel fenomeno incredibile che è stato Zetazeroalfa… Beh fare i libri è in linea con quanto prima espresso. Più diventiamo orwellianamente digitali più viene voglia di fare il contrario, libri, dischi, oggetti fisici che durino più del battito di ciglia di internet. Come diffusione il libro sta andando bene, purtroppo la cosiddetta emergenza sanitaria ci ha stroncato per due volte il tour delle presentazioni…ma riprenderemo!
Uno stile musicale mai osato dalla musica non conforme e che secondo te funzionerebbe?
Il nostro è un mondo abitudinario, che impiega moltissimo tempo a metabolizzare i cambiamenti anche minimi. Un nuovo genere dovrebbe nascere o da una tendenza spontanea oppure da una specie di ipostasi, di incarnazione, da un fulmine a ciel sereno come lo furono a suo tempo Janus, Intolleranza o Zetazeroalfa. Un nuovo stile è possibile da immaginare. Ma serve diciamo una situazione scatenante, di un vessillifero che chiami a se le schiere.
La nazione più interessante dal punto di vista musicale a tuo avviso oggi quale è?
Sicuramente l’Italia, anche con il limite del mancato rinnovo delle nuove proposte, mancano i gruppi giovani. E poi c’è la Germania, che sia da un punto di vista tecnico e numerico sta molto avanti a noi… ma la varietà e la qualità interna della proposta italiana è unica…
Quali sono le ultime uscite e quali saranno le novità disco e cartografiche?
Le uscite sono sempre molto variegate da queste parti…Inizierei con il doppio dal vivo di Zetazeroalfa “Live in Milano” un documento sonoro in 451 copie di dello storico concerto del 23 marzo 2019. Poi Malalingua, uno dei molteplici progetti partoriti dalla mente vulcanica di Katanga, a suo modo un pezzo a sé della discografia del nostro… Zetazeroalfa Drumo “Per Aspera e Basta” sperimentalismo allo stato puro.. ed infine Taurus Rap “Virtus” una ottima incursione nel territorio del rap, un genere per tornare al discorso di prima che trova tuttora molte diffidenze… Ma questo successe anche quarant’anni fa col rock del resto. Novità in ballo molte e anche molte ristampe e qualche uscita a lungo attesa come Ufo Solar e il mitologico “Tributo a Intolleranza” una compilazione mostro con 18 gruppi. E attendiamo buone notizie da SPQR, Hobbit e Bronson, ma non scopriamo troppo le carte. Vedo anche molto vinile di qui a breve… Molta carne al fuoco, peccato non poter avere l’interfaccia fisico dei concerti, essenziali anche per l’aspetto della diffusione.
Cosa auspichi per gli anni a venire a livello culturale e politico o metapolitico?
Senza essere troppo apocalittici i prossimi anni saranno semplicemente terribili, vedremo l’avvento definitivo dell’uomo poltiglia, senza volto, senza qualità, senza sesso, senza patria, schiavo dei meccanismi economici e delle macchine. La cancellazione e la riscrittura di tutto, l’alterazione definitiva del linguaggio. Bisogna fare il passaggio al bosco, ma il bosco per paradosso va costruito. Per cui auspico quello che ho sempre auspicato: autonomizzarsi e strutturarsi, a 360 gradi, sempre di più. Abbandonare definitivamente il tavolo dei bari. Creare nuovi canali e renderli forti, consolidare le reti librarie, le case editrici, le iniziative imprenditoriali, lavorare sull’economia e sui media alternativi… iniziare a fare un lavoro su internet che ci svincoli dalla dipendenza dei grandi portali. Creare riferimenti quanto più solidi possibile in questo mondo liquido. Tenere vive le radici, fare humus per la vita che verrà. Fare sistema, sistematicamente.
Chiara del Fiacco
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