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Giuseppe Mazzini: l’uomo del futuro

by Alfonso Piscitelli
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Giuseppe Mazzini

Vestito rigorosamente di nero, dopo aver letto Le ultime lettere di Jacopo Ortis, in segno di lutto per la patria occupata; stratega decisamente non brillante di tante sfortunate insurrezioni; abbandonato da illustri seguaci – come Gioberti e Garibaldi – che seguirono vie ispirate a un maggiore realismo politico, Giuseppe Mazzini potrebbe ispirare un pensiero irriverente in chi pure lo ammira… vale a dire il sospetto che fosse un personaggio che si attirava scientemente la sfortuna. Il che, in un Paese che molto tiene alla scaramanzia, equivale a una condanna senza appello.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di febbraio 2022

È possibile fare appello contro questo verdetto, quest’anno che cade il centocinquantesimo anniversario della sua morte? Sicuramente è possibile notare che Mazzini fu personaggio fuori del proprio tempo: affermava con intransigenza l’ideale repubblicano nel secolo delle monarchie; immaginava una confederazione europea nel bel mezzo delle insorgenze ispirate al principio di nazionalità; sognava il sollevarsi spontaneo del popolo italiano per effetto di una pedagogia politica basata sulla diffusione di epistole morali e libri in un periodo in cui la percentuale di analfabetismo nelle varie parti della Penisola oscillava tra il 60 e il 90%. Eppure, questo apostolo così inadatto – unfit, direbbe quel Darwin che segnò con le sue teorie lo spirito del tempo – si è rivelato sulla lunga durata un seminatore di futuro.

Nazione e repubblica

Volendo semplificare in maniera grossolana, si potrebbe rimarcare che oggi l’Italia è – bene o male – unita sotto ordinamento repubblicano: la convergenza delle forze sotto il trono di Casa Savoia, che fu la mossa vincente negli anni del Risorgimento, non ha retto all’urto delle contraddizioni del secolo successivo. Peraltro, Mazzini stesso con la sua «lettera di un italiano» indirizzata a Carlo Alberto nel 1831 aveva esortato il giovane sovrano a porsi alla testa del movimento di indipendenza nazionale: un appello che in quell’anno sembrava ingenuo, ma che nel decennio successivo avrebbe trovato risposta.

Mazzini fu preveggente anche riguardo alla soluzione di tipo centralista. In un periodo in cui si vagheggiava una «confederazione italiana» che salvasse la sovranità dei vecchi sovrani (e il potere temporale del Papa), il pensatore genovese faceva notare quanto fosse irrealistica quella soluzione che pure sembrava la più pratica. Infatti, la quasi totalità dei sovrani della Restaurazione erano vincolati all’egemone austriaco, il Papa non avrebbe mai accettato di limitare l’universalità del proprio magistero assumendo la «presidenza» di una nazione che, per quanto storicamente importante, non apparteneva al novero delle grandi potenze. Per tali motivi Mazzini affermava che l’Italia avrebbe dovuto essere «unificata» per davvero: cancellando i confini, rovesciando i troni, valorizzando quel patrimonio di civiltà che ci accomuna.

La confederazione europea

Si noti bene: Mazzini era «centralista» quando guardava all’Italia ed era «confederalista» quando – con la Giovine Europa – affermava l’idea di una unione delle nazioni del continente. Questa è una visione che ha un valore attuale. Ai nostri giorni si è cercato di creare un super-Stato europeo mortificando le identità nazionali e imponendo una sorta di «patriottismo continentale» basato sui regolamenti o su valori come l’accoglienza, la lotta alle discriminazioni di genere, i «conti in ordine». Ma questa fusione a freddo decisamente non funziona, soprattutto in un’epoca in cui emergono identità aggressive e fortemente radicate nel proprio retroterra storico-culturale: si pensi all’emergente impero cinese, così carico di orgoglio anche schiettamente razziale, o all’identità islamica che crea enclavi nelle metropoli d’Occidente.

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Per Mazzini, romanticamente, la nazione aveva un’anima e una missione. I singoli individui si rapportavano ad essa innanzitutto concependo un «dovere» che rimandava alla concezione romana dell’officium o ad analoghe concezioni indoeuropee (si pensi al concetto di Dharma, legato al tema della reincarnazione alla quale pure accenna il pensatore genovese). La Confederazione europea avrebbe dovuto abbracciare le diverse anime dei popoli senza opprimerle, e lo stesso avrebbe dovuto fare a un livello più ampio l’Alleanza repubblicana universale che Mazzini immaginò. Si tratta, evidentemente, di visioni sublimi che superano di molto il confine del realismo politico, soprattutto quando l’autore concepisce unioni sovranazionali «alla pari» senza il baricentro di un potere centrale, ma l’idea di una «universalità» che non sia entropica, che non dissolva la ricchezza delle identità particolari, rappresenta per noi oggi una idea platonica: una terza via tra coloro che vogliono una globalizzazione come mescolanza e confusione tendente al grigio e gli altri che, opponendosi, sognano di chiudersi in piccole riserve «particolari», tipo amish.

Mazzini l’anti-Marx

Mazzini fu profetico anche riguardo al comunismo. Lo scontro con Marx fu diretto e l’ideologo tedesco fu greve negli insulti nei confronti del pensatore italiano: probabilmente avvertiva la forza di una posizione antagonista rispetto al suo materialismo storico. Il mazzinianesimo si opponeva all’internazionalismo, alla lotta di classe, all’abolizione della proprietà privata, alla concezione materialistica dell’uomo: a tutti i capisaldi del comunismo. L’autore de I doveri dell’uomo, senza scadere in basse polemiche, argomentò che questo armamentario ideologico non aveva fondamento e di conseguenza non avrebbe potuto funzionare. Nel prevedere il fallimento del comunismo realizzato, ancora una volta Mazzini si rivelava uomo del futuro e, in quanto tale, patì una sconfitta nel suo tempo. Se Cavour col suo machiavellico realismo gli aveva tolto la leadership strategica del movimento di indipendenza nazionale, Marx con l’Internazionale strappò alla…

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