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L’ideologia del Medesimo: Alain de Benoist firma un potente richiamo all’identità

by La Redazione
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alain de benoist, medesimo

Firenze, 15 ott – Alain de Benoist non necessita di grandi presentazioni: semplicemente, è uno dei più autorevoli intellettuali viventi. Non solo per la mole sterminata di materiale prodotto nel corso degli anni, ma soprattutto per la capacità – più unica che rara – di saper essere perennemente attuale e ostinatamente controcorrente, con una versatilità e una profondità di analisi che non hanno eguali per qualità e serietà delle tesi sostenute. Il suo ultimo contributo, pubblicato in Francia dall’Institut Iliade e tradotto in italiano da Passaggio al Bosco Edizioni, è un saggio breve che approfondisce un tema cardinale, da lui definito nell’ultimo decennio e oggi al centro di un dibattito che lo identifica – a ragione – come il soft power del meccanismo globale in atto: “l’ideologia del Medesimo”.

Che cos’è l’ideologia del Medesimo?: il saggio di Alain de Benoist 

Dalle teorie gender al principio universalista dell’uomo astratto, passando per l’omologazione galoppante, per la retorica dei “diritti delle minoranze”, per la “cancel culture” e per la logica “no border” che accompagna l’invasione migratoria: il cosiddetto “pensiero unico” – la cui definizione, ancora una volta, si deve proprio ad Alain de Benoist – è oggi permeato dal concetto della “medesimità”. In parole povere: dispiegare la narrazione dominante a partire da ciò che accomuna tutti gli uomini, sostituendo l’antico rimando all’uguaglianza politica con una generica e soffocante neutralizzazione della realtà. Per meglio dire: configurare il mondo nel solco di ciò che lo rende omologato e piatto, creando un allineamento permanente che annichilisca le differenze e oltrepassi le specificità. I risultati, in tal senso, sono sotto gli occhi di tutti: il genere è disancorato dal sesso, le appartenenze etniche sono proibite o ibridate ad arte, i popoli si trasformano in masse anonime di consumatori apolidi e ripetibili, i paesaggi si abbassano al rango di “non luoghi” del transito e del profitto, le economie locali sono assorbite dal verbo cosmopolita del mercato globale, le manifestazioni del sacro sono ridotte a pratiche orizzontali di folklore new age, le sovranità sono annegate nella mera amministrazione tecnica delle cose, le lingue sono inquinate dal gergo globish, i costumi sono dettati dalle mode dei brand globali e dalle tendenze algoritmiche dei social network. Quanto più è pervasivo il suo richiamo all’uguaglianza in teoria, tanto più evidente risulta la disgregazione che ne consegue nei fatti: i cortocircuiti della cosiddetta “società aperta” – del resto – sono inequivocabili e fin troppo evidenti.

Alain de Benoist, allora, compie una ricognizione straordinaria nel concetto di uguaglianza, analizzandone le origini e la natura, le declinazioni e le distorsioni, le caratteristiche e i limiti. Ciò che gli epigoni del mondialismo hanno sapientemente omesso di ricordare, infatti, è che l’uguaglianza non è mai un dato assoluto: essa designa un rapporto in sé, ma dipende da una convenzione, poiché si è uguali o diversi in relazione ad un contesto. Quella in atto, pertanto, è una crescita dell’aspirazione all’omogeneità: un tensione astratta, descrittiva e normativa al tempo stesso, che genera una ipertrofia dell’individuo tipica del modello liberista. La tendenza progressista della sinistra, a dire il vero, si sposa perfettamente con il liberalismo di certa destra: entrambi – infatti – negano il quadro storico e sostanziale che dà concretamente senso ai diritti e ai doveri di ogni cittadino.

Dispiegandosi, l’ideologia del Medesimo distrugge le differenze e ciò che le ordina, fomentando una dispersione e una divisione che spezzano i legami sociali e le forme di condivisione organica. Le comunità, siano esse antiche o recenti, sono dimensioni naturali di appartenenza. Nessun individuo può esistere senza un’appartenenza, anche solo per distanziarsene. L’Io è sempre situato, ovverosia incorporato in una storia che non può essere ridotta ad uno statu quo e ancor meno al passato. Su questo crinale – evidentemente – si giocano le sfide del presente e del futuro prossimo. Sarà necessario percorrerlo con la consapevolezza che l’identità non è mai un dato museale o prettamente reattivo, ma una dinamica organica che cavalca il tempo in fedeltà ad un centro, nell’armonia della custodia e della trasmissione.

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