Roma, 30 lug – “Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”. Così Virgilio nel Purgatorio presentava Dante a Catone Uticense, reo di averla rifiutata, la libertà, uccidendosi. Il poeta fiorentino invece la cercava, così come altri illustri amanti della sapienza prima e dopo di lui. Qualcuno ha provato a spiegarla con l’assenza di catene (fisiche o immateriali), quei lacci ferrati che ci imprigionano a una qualche schiavitù e che dobbiamo in ogni modo spezzare. Ma che cos’è realmente questa libertà? Una fuga dal presente, un arrampicarsi rampanti e spensierati sopra un albero oppure la gaberiana partecipazione? Ognuno può interpretare questo agognato e al contempo sfuggente tesoro un po’ come vuole. Resta che i più non lo afferrano, probabilmente perché pretendono che sia un diritto acquisito e non un dovere da conquistare e riconquistare ogni giorno.
Libertà come vita
Con all’attivo una ventina di libri, nella sua ultima fatica il filosofo italiano avanza una disamina soprattutto sul concetto occidentale di libertà. Quello odierno è inteso quasi unicamente come condizione ludica e ricreativa, di conseguenza livellante e fautrice di omogeneità degli individui, diametralmente opposto dunque al concetto di libertà affermato dagli antichi greci con la parola Eleuteria. Termine che traeva ispirazione da Eleuthia, dea della nascita e della vita, dunque capace di donare nuova linfa a chi la evocava, offrendo così la palingenesi dell’ἀνδρός (andros), ovvero dell’uomo virile (corrispondente al latino vir) da non confondersi col generico ἄνθρωπος (anthropos), e cioè l’uomo inteso come genere umano.
Da qui parte Franz, per dirci che la libertà non va mai intesa in senso deterministico, dunque non come mero libero arbitrio dell’individuo e neppure come servo arbitrio invocato da Lutero. L’uomo se è vir può scegliere, ma la sua sarà sempre una scelta originaria. Perché una monade può farsi cosmo soltanto se non dimentica le proprie radici, unici rami a cui è lecito afferrarsi senza rischiare la caduta nel baratro. Per essere realmente baroni rampanti, senza illudersi, senza barare.
Eugenio Palazzini
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